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Isabella Internò piange davanti alla bara di Donato Bergamini il giorno dei funerali (a destra si riconosce Renzo Castagnini)

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COSENZA – La gelosia ossessiva di Isabella Internò e l’onore ferito dei suoi familiari. È dall’incontro di queste due nevrosi che, secondo la Procura di Castrovillari, fiorisce il movente dell’uccisione di Donato Bergamini, e il processo che si celebra in Corte d’assise, sponda accusa, punta tutto su questa tesi. In aula se n’è avuto, fin qui, un assaggio consistente grazie alle testimonianze succedutesi udienza dopo udienza: da Roberta Alleati – la sposa segreta e sedicente – a Roberta Sacchi – fisioterapista e amante per un giorno –  passando per i compagni di squadra Luigi Simoni e Sergio Galeazzi, sono davvero tante le persone che oggi si dicono beninformate sulla morbosità dell’imputata e sul sentimento tossico che la legava a Denis, e a loro si sono aggiunte via via anche diverse adolescenti dell’epoca, ragazze che frequentavano il ritrovo dei calciatori – la villetta di Commenda – amiche o semplici conoscenti del calciatore alle quali lui stesso avrebbe rappresentato più volte il fastidio provocatogli da quella ex fidanzata possessiva e assillante.

L’elenco è destinato a ingrossarsi, dato che all’appello mancano ancora Tiziana Rota – quella del «Meglio morto che di un’altra» – Michele Padovano e, soprattutto Donata Bergamini. Non a caso, è proprio lei a imporre il dato della gelosia folle della Internò, trasformandolo in una verità acquisita, ma solo dal 2010 in poi. In precedenza, infatti, né lei né altri si pronunciano sull’argomento, tant’è che quando nel 2001 esce il libro di Carlo Petrini – oggi vittima di un principio di cancel culture da parte dei suoi stessi sostenitori –  il tema della gelosia di Isabella non viene affrontato neanche di striscio.

Di questo aspetto della vicenda non si parla neanche nell’immediatezza, quando i ricordi avrebbero dovuto essere più vividi, ovvero fra il 1989 e il 1991. Nessun accenno da parte dei testimoni interpellati dall’allora pubblico ministero Ottavio Abbate e, successivamente, nulla di significativo al riguardo emerge dal processo per omicidio colposo imbastito contro il camionista Raffaele Pisano. Anzi, in quella sede è il pm d’udienza Maurizio Saso a offrire un assist formidabile alla sorella di Denis chiamata a testimoniare in aula. «Quali furono le cause della rottura?» le chiede a proposito del rapporto sentimentale fra suo fratello e la Internò. «Ma niente – risponde Donata – In un primo momento mi disse perché aveva saputo che era stata con un altro calciatore. E poi dopo, in ottobre, abbiamo avuto l’occasione di parlarne abbastanza bene, e mi disse che non gli piaceva proprio più».

Nessun riferimento alla gelosia, dunque, ma la musica cambia vent’anni più tardi, quando saltano fuori le parole che poco prima di morire Denis avrebbe riferito alla sorella –  «Isabella è come l’attack» – e sulle quali si innestano le rivelazioni successive di altri testimoni. Ecco allora che a detta della Rota, la Internò «si appostava sotto casa sua per controllarlo» e «gli annusava i vestiti» per verificare che non fosse andato con altre donne. «Era una stalker» taglierà corto più di recente la Alleati, in precedenza anche lei muta sull’argomento.

Eppure c’è una sola persona che nel 1989 fa accenno alla gelosia di Isabella e, paradosso dei paradossi, è Isabella stessa. «Ero gelosa per il lavoro che faceva, e perché la sua notorietà lo metteva al centro delle attenzioni femminili» spiega la ragazza ad Abbate il 23 novembre di quell’anno durante il suo secondo colloquio in Procura. Trenta e passa anni dopo, proprio questo diventerà il movente dell’omicidio, e piuttosto che tentare di nasconderlo, la diretta interessata cosa fa? Si autoincrimina.

«È stato Denis a volere la fine del nostro rapporto, io avrei fatto qualsiasi cosa  perché lo stesso continuasse» aggiunge, quasi un’escalation confessoria, vista con gli occhi degli inquirenti che oggi perseguono l’obiettivo della sua colpevolezza. E invece è molto  probabile che quelle dichiarazioni le abbia rese a scopo difensivo. All’epoca, infatti, più d’una fonte indica proprio in Bergamini il geloso della coppia, circostanza che in quei giorni la Internò sminuisce, salvo poi ammettere – al pari di altri testimoni – che il ragazzo era «tormentato» dalle voci sulla presunta relazione tra lei e un altro calciatore, seppur tale flirt fosse addirittura precedente all’arrivo di Denis a Cosenza.

In quelle ore, però, c’è un pensiero che tormenta pure  l’allora diciannovenne ragazza di Roges: passare come responsabile morale della morte del  fidanzato. Acqua fresca rispetto al calvario che l’attende da lì a vent’anni, ma di questo suo timore, durante il processo contro Pisano se ne accorgeranno tutti, persino la parte civile,  tant’è che il pretore Antonino Mirabile che, in seguito, lo scriverà a chiare lettere nella sentenza che assolve il camionista. Quel 23 novembre, però, a cinque giorni dalla tragedia, è lei stessa che non fa nulla per nascondere questa sua preoccupazione, dicendosi «sgomenta per le illazioni giornalistiche prive di ogni fondamento in ordine al fatto che Denis si sarebbe suicidato per amor mio».

Insomma, ha da poco ucciso un uomo, ma ha paura di essere giudicata, di finire nel mirino dei moralisti e più in generale dell’opinione pubblica. Davvero una strana assassina questa Isabella Internò.

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