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REGGIO CALABRIA – C’è anche il comandante della polizia penitenziaria della casa circondariale “Panzera” Stefano La Cava tra gli agenti arrestati per il pestaggio del detenuto napoletano. A La Cava, oltre alle accuse di tortura e lesioni personali aggravate, vengono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, omissione d’atti d’ufficio, calunnia e tentata concussione.

Per due agenti, il gip ha disposto la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio. Complessivamente sono otto i destinatari dell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari.

Oltre ai sei agenti finiti ai domiciliari e ai due sottoposti a interdizione, ci sono altri quattro poliziotti penitenziari, ai quali viene contestato il reato di tortura e lesioni personali in concorso, per i quali il Gip si è riservato di valutare la richiesta di applicazione della misura cautelare interdittiva formulata dalla Procura all’esito dell’interrogatorio.

Il gip deciderà dopo l’interrogatorio se applicare la sospensione dall’attività professionale anche al medico dell’Istituto penitenziario, indagato per il reato di depistaggio. Stando all’inchiesta della squadra mobile, infatti, il medico avrebbe reso false dichiarazioni al pubblico ministero durante la fase delle indagini.

Si chiama Alessio Peluso, il detenuto trentenne di origini campane, vittima del pestaggio che sarebbe avvenuto all’interno della casa circondariale. E, secondo quanto emerso dalle indagini della Squadra mobile di Reggio Calabria, il comandante della polizia penitenziaria Stefano La Cava avrebbe tentato di costringere, illegittimamente, un suo sottoposto a mostrargli delle relazioni di servizio relative alla sorveglianza dello stesso detenuto. Per tale motivo, il pm Sara Perazzan ha formulato a suo carico anche l’ipotesi di reato di tentata concussione.

Nei giorni successivi alla denuncia del detenuto campano pestato dagli agenti della penitenziaria, inoltre, si sarebbero aggiunti gli esposti dei familiari di altri detenuti, tutti di origine campana. Nel corso di colloqui telefonici con i parenti, in sostanza, le persone recluse avevano riferito di essere stati malmenati all’interno del carcere.

I successivi approfondimenti investigativi, anche attraverso l’escussione dei reclusi da parte del pubblico ministero titolare delle indagini, avevano permesso già in una prima fase di circoscrivere ad un solo detenuto le condotte violente, così come poi confermato dalla visione e analisi delle telecamere interne dell’istituto di pena.

«Va segnalato – è scritto in una nota della Questura reggina – che le gravi condotte contestate sono ascrivibili alla responsabilità personale solo di alcuni appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che presta servizio all’interno della struttura penitenziaria in questione con abnegazione, sacrificio e senso del dovere, e con pieno rispetto dei diritti e della dignità dei detenuti».

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