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Una fiaccolata dedicata a Francesco Prestia Lamberti

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VIBO VALENTIA – Due giovani vite spezzate. Modalità diverse ma non per questo meno feroci.

Siamo nel feudo della locale di ’ndrangheta di Mileto, fulcro a sua volta di una serie di ’ndrine che le orbitano attorno e che la recente indagine della Dda di Catanzaro, “Maestrale-Carthago” ha portato alla luce descrivendone la pericolosità.

In questo contesto difficile, in cui la paura diventa omertà, dove le attività illecite sono quasi all’ordine del giorno e che non mancano anche di investire esponenti della politica e delle forze dell’ordine del territorio si sono consumati due delitti efferati, maturati a distanza di poco tempo l’uno dall’altro, che hanno quale comune denominatore quell’ombra nera che avvolge il territorio e la cui evocazione è spesso presagio di morte.

Omicidi commessi da giovani che si fanno forza della loro propria appartenenza e pedigree criminale, nei confronti di loro coetanei. Sono quelli di Francesco Prestia Lamberti e Francesco Vangeli. Il primo è stato ucciso, secondo le risultanze dell’accusa, in una zona isolata il 29 maggio del 2017 (oggi ricorre infatti li sesto anniversario nel corso del quale sarà officiata una messa in suffragio), da Alex Pititto, giovane rampollo dell’omonima famiglia di Mileto. Il secondo – il cui corpo non è mai stato ritrovato – dai fratelli Prostamo, entrambi sotto processo, la sera tra il 9 e 10 ottobre 2018.

Di queste due vittime si parla nel capitolo del fermo che tratta della Locale di Mileto in cui si descrive di come questa potesse contare anche su quelle che sono indicate in gergo le “nuove leve” e si rileva come in questo territorio sia sovente emerso come la relazione con una donna sia stato il “campo di battaglia” ove mostrare la propria caratura criminale.

Prestia Lamberti e Alex Pititto

Già condannato in primo grado a 14 anni, Alex Pititto è nipote del presunto boss Pasquale e figlio di Salvatore Pititto. Quando uccise il suo rivale in amore era appena 15enne. Quella sera si presentò ai carabinieri fornendo una versione ritenuta non veritiera dei fatti e nonostante avesse confessato l’omicidio, l’arma del delitto non venne rinvenuta, seppur è stato accertato che la stessa era legittimamente detenuta dal nonno Giuseppe Pititto.

Il giorno seguente all’omicidio si presentava presso gli uffici della Stazione di Mileto Domenico Evolo, il quale riferiva di aver condotto con l’autovettura, a suo dire inconsapevolmente, il 16enne Francesco Prestia Lamberti e Pititto nel luogo ove poi si è consumato l’omicidio.

«Di assoluto rilievo è che dopo essere risalito in macchina quest’ultimo abbia minacciato con la pistola Evolo di non riferire nulla di quanto accaduto. Invero, gli elementi acquisiti facevano emergere che Alex Pititto nelle fasi successive dell’omicidio era stato aiutato nel gestire l’intera vicenda da ulteriori persone. E infatti sempre Evolo aveva riferito di aver accompagnato, dopo il delitto, l’allora nipote del boss presso il panificio dei Mesiano, nella frazione Calabrò di Mileto».

La parziale confessione dell’indagato aveva «chiaramente evidenziato delle non trascurabili parti mancanti nella richiamata vicenda in quanto è apparso evidente che il contributo dichiarativo non del tutto chiaro reso dall’indagato fosse teso a nascondere agli organi inquirenti il contributo di ulteriori soggetti ed una versione dei fatti differente». Nel fermo si evidenzia una condotta dell’imputato «che va ben al di là della semplice organizzazione ed esecuzione dell’omicidio della vittima. Difatti i specifici reati contestati allo stesso fanno emergere chiari elementi, nonostante la giovane età, di un’adesione totale alla struttura criminale di cui i parenti più prossimi sono esponenti apicali. Le azioni violente intraprese da Pititto nonché il regime di intimidazione ed assoggettamento omertoso costruito dallo stesso evidenziano proprio l’esercizio di quello specifico potere derivante dall’appartenenza alla criminalità organizzata. Difatti, va ricordato che la vicenda dell’omicidio di Prestia Lamberti ha origine da una relazione inizialmente intrattenuta dall’imputato con una ragazza in relazione alla quale lo stesso aveva instaurato un vero e proprio regime intimidatorio».

E al riguardo viene riportata la frase pronunciata all’indirizzo di uno dei giovani intimiditi in cui evidenziava la propria appartenenza alla struttura criminale: “Ti lassu ccà – figlio di puttana – siete tutti e due bastardi – dietro di me ci sono altre persone”.

Francesco Vangeli e i fratelli Prostamo

L’altro episodio consumatosi poco più di un anno dopo dal primo è stato quello del 25enne Francesco Vangeli e per il quale sono a processo i fratelli Antonio e Giuseppe Prostamo, ritenuti elementi di primo piano dell’omonima ’ndrina orbitante nella frazione San Giovanni e dipendente dalla Locale di Mileto, il primo condannato a 30 anni in primo grado, il secondo a 17 anni in Appello.

Le indagini avevano ricostruito che la vittima “era legata a Giuseppe Prostamo, alias “Ciopane”, da un traffico di stupefacenti oltre che dalla commissione di alcuni reati in materia di armi ed estorsioni. In aggiunta a ciò, sempre Vangeli era legato alla famiglia Prostamo per la sua relazione con Alessia Pesce, ragazza contesa tra la vittima e Antonio Prostamo”. Sempre nel fermo della Dda si evidenzia che il “rapporto criminale intercorrente tra Vangeli e Prostamo veniva confermato dalle dichiarazioni rese dalla Pesce la quale riferì che il primo aveva maturato un debito di 7.000 euro connesso al traffico di stupefacenti, oltre ad aver effettuato un danneggiamento mediante esplosione di colpi d’arma da fuoco su Mileto per conto dello stesso Prostamo. Oltre ciò, a seguito delle indicazioni fornite dai parenti dello scomparso, è stato possibile rinvenire una pistola semi automatica cal. 7.65 – rinvenuta in occasione della perquisizione eseguita in San Giuliano Terme (Pi) – che nel corso dell’anno 2017 i due fratelli avevano affidato al 25enne affinché la conservasse per loro conto. Gli elementi raccolti nel corso dell’indagine esperita consentivano di ripercorrere le motivazioni che hanno condotto all’omicidio di Francesco Vangeli, il quale, dopo una prima battuta d’arresto, aveva manifestato l’intenzione di riprendere la relazione con la ragazza, la quale tra l’altro, era in attesa di un bambino”.

Invero, proprio la paternità del bambino ha fatto emergere una forte presa di posizione di Antonio Prostamo, il quale a più riprese “ha minacciato il Vangeli circa la possibilità che venisse eliminato”. Difatti nelle ore precedenti alla sparizione il 25enne si era recato presso l’abitazione di Giuseppe Prostamo (situata a San Giovanni di Mileto, nel medesimo stabile di quella di Antonio) non facendone più ritorno.

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