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La recessione profetizzata appartiene agli incubi del passato. Fitch e Moody’s erano posizionati su recessione nera o nerissima. I previsori italiani si tengono un po’ più su, ma continuano a seminare paura e, a partire da Upb, fanno danni. La verità è che continuiamo a crescere più degli altri grandi Paesi europei. Si prenda atto della realtà e, grazie alla operazione verità, ci si metta tutti ai remi su Pnrr e Sud come grande hub del Mediterraneo. Sulle nomine nelle aziende pubbliche si scelgano i migliori e si moderi la nostra diffidenza nei confronti dell’Europa che ci fa male. In una somma di debolezze politiche dei leader europei emerge una certa relativa forza politica della Meloni che non viene più considerata un’estremista, ma valutata come la leader europea della destra moderata. Pezzi di governo e di opposizioni non sprechino tutto per il solito piccolo cabotaggio italiano.

FINORA non è andata male come tutti pronosticavano. Gli shock dell’economia sono stati assorbiti abbastanza bene. È stata apprezzata la cautela di Meloni e Giorgetti sulla finanza pubblica e c’è un clima reale di collaborazione molto aperta con la Commissione europea che nutre fiducia sul fatto che il ciclo di riforme prosegua e che la capacità di fare spesa per investimenti venga recuperata dopo almeno vent’anni di blocco semi totale. Il risultato finale atteso è un mix tra investimenti pubblici, privati e riforme che produca un punto di Pil in più per trent’anni. Sulla riforma del fisco non è emerso nulla di eversivo e ci si attende che si scelga tra il massimo dello stimolo o il massimo della redistribuzione ammesso che si trovino le risorse per finanziare gli interventi.

Sulla politica culturale come motore dell’economia il pragmatismo e la cocciutaggine del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, stanno facendo vivere all’Italia una stagione cosmopolita che spazia dai musei a tutti i campi della cultura restituendo al Paese attrattività e primati che gli appartengono storicamente, ma che si erano fortemente annebbiati. Sulla parte industriale si è fatto qualcosa che non si faceva da tempo e la regia del ministro Urso si è avvertita nella gestione delle grandi vertenze storiche, Priolo è solo l’ultimo caso, e nella difesa in casa e in Europa di alcuni settori manifatturieri per noi strategici che integrano complessivamente il ritorno della politica industriale che era la bella addormentata del Paese. Si deve fare di più su ammodernamento e ricerca e su un’azione di penetrazione nel mondo insieme con altri Paesi europei perché è sbagliato dare anche la sensazione di fidarsi poco degli altri.

La recessione profetizzata da tutti appartiene agli incubi del passato. Fitch e Moody’s erano posizionati su recessione nera o nerissima. I previsori italiani si tengono un po’ più su ma, a partire dall’ufficio parlamentare di bilancio (Upb), continuano a seminare paura e a fare danni. La verità è che continuiamo a crescere più degli altri grandi Paesi europei. Manifattura, agro-industria, turismo, servizi, attrazione internazionale, indici di fiducia, sono tutti al top. Non abbiamo perso il mercato tedesco e ne conquistiamo ogni giorno di nuovi sui Paesi extra europei. Si è fatta un’operazione verità sul Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che era la pre-condizione indispensabile per provare a rispettare le tabelle di marcia degli investimenti riallineando scadenze, priorità e categoria di cassa europea da utilizzare caso per caso secondo le migliori convenienze. Anche qui, però, si parla solo di soldi che si perderanno, di nostre incapacità, mentre il registro dovrebbe essere quello opposto della cooperazione trasversale politica e economica per centrare gli obiettivi. Questo punto di debolezza riguarda parti della maggioranza che delittuosamente vogliono ritardare sul ciclo delle riforme e parti rilevanti delle opposizioni che giocano solo allo sfascio del Paese. Entrambi sono insopportabili e hanno comunque vita breve. Perché l’economia italiana va e il governo della Destra non ha fatto sconquassi. Non li farà neppure nelle nomine delle grandi aziende pubbliche di mercato nonostante le inevitabili contorsioni di un governo politico di coalizione. Si procede, come nella finanza pubblica, nel solco tracciato da Draghi e questo basta e avanza per chi ci guarda dai mercati e dalle istituzioni internazionali.

La convinzione di tutti è che non siamo diventati un osservato speciale e non lo diventeremo. I numeri del Documento di economia e finanza (Def) sul piano della crescita e di deficit e debito pubblico sono eloquenti. Se la finissimo una volta per tutte di pagare la tassa aggiuntiva del gufismo masochista italiano e cominciassimo a dire con spirito da cronisti che da tre anni l’Italia è uscita dalla sua lunghissima stagione di stagnazione e guida la crescita europea, pronunceremmo solo parole di verità e metteremmo fiducia nel motore italiano dei consumi e degli investimenti. Accresceremmo la capacità di attrazione consolidando il desiderio di Italia del mondo. Soprattutto opereremmo più speditamente sulla rotta strategica di ridare centralità al Mezzogiorno d’Italia come capofila del grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo e soggetto guida del nuovo, unico, processo di crescita aggiuntiva europeo. Questi sono i fatti. Ai quali, però, si contrappone ogni giorno un giudizio di debolezza della politica italiana. Che ha più di qualche elemento di fondamento in alcuni ministri della squadra di governo e soprattutto negli entourage e nel loro dannosissimo linguaggio, ma non tocca la leadership di governo e le sue figure preminenti a partire da quella centrale di Fitto in Europa. Bisogna avere anche l’onestà di ammettere che la politica è considerata un elemento di debolezza in generale. È debole Scholz in Germania. È debole Macron in Francia. È debole Sanchez in Spagna. Dovremmo addirittura dire se volessimo essere onesti fino in fondo che di fronte a questa somma di debolezze emerge piuttosto una certa relativa forza politica della Meloni che non viene più considerata un’estremista, ma valutata come la leader europea della destra moderata che può catalizzare una nuova alleanza con i popolari e assumere la guida del parlamento e della commissione europei.

A maggior ragione questa forte diffidenza nei confronti dell’Europa che emerge dichiarativamente da esponenti della maggioranza è molto sbagliata. Perché è letta male l’idea che si vuole accreditare di un sentimento europeo anti governo che non è vero. Su questo una maggiore vigilanza non può fare che bene all’esecutivo e, cosa più importante, all’interesse generale del Paese. Quello che deve essere messo da tutti avanti a tutto in un contesto internazionale di logoramento dei rapporti tra Cina e India e Paesi avanzati, di guerra nel cuore dell’Europa che non finisce, e di rischio di crisi bancarie da caro tassi anti-inflazione che quando arrivano sono sempre fulmini a ciel sereno. Non ti mandano l’avviso. Stiamo buoni, per piacere, e evitiamo gufismi e demagogie.


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