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Vincenzo Amendola

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Amendola è l’uomo che porta davvero a casa a livello operativo il piano europeo della coerenza meridionalista degasperiana. A noi sarebbe piaciuto un ragionamento così. In questa nuova legislatura sono centrali la questione economica, la questione del rapporto con l’Europa e quella ricorrente della riforma costituzionale e quindi si scelgono i candidati che possano dire qualcosa di serio in questi campi a Napoli come a Bologna, a Firenze come a Bari. Se si fosse scelta questa impostazione non avremmo perso per strada gli Amendola e i Ceccanti perché il giro lo avremmo cominciato dal verso giusto, non da quello sbagliato che va all’incontrario. Siccome il tempo per recuperare c’è, non si abbiano ulteriori esitazioni a correggere il tiro

La sfida del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, finanziato interamente con debito comune europeo e prestiti a tassi di favore, è restituire a Napoli il rango di terza capitale d’Italia e colmare i divari territoriali e di genere del Paese in termini di capitale umano, grandi reti infrastrutturali, capacità di attrazione di capitali internazionali e standard produttivi manifatturieri, di ricerca, turistici. Le scelte della nuova amministrazione comunale guidata da Gaetano Manfredi, ex capo dei rettori italiani e ex ministro dell’Università e della ricerca, sono quelle giuste per la sua modernizzazione ed il recupero di una centralità geopolitica ed economica nel Mediterraneo che ne fanno potenzialmente il Nord dell’Italia e dell’Europa. Il primato internazionale di Napoli nel turismo di lunga durata ed i record di traffico del suo aeroporto internazionale esprimono in superficie ciò che sotto di positivo sta accadendo in modo più profondo. Si percepisce che Napoli è in mani all’altezza della sfida.

La decisione del segretario del Pd, Enrico Letta, di collocare in una posizione elettorale di marginalità Vincenzo Amendola, 48 anni, napoletano, prima ministro degli Affari europei e ora sottosegretario alla presidenza del consiglio con la stessa delega, in parole povere l’uomo che ha portato davvero a casa sul piano operativo il Pnrr italiano e che è un interlocutore stimato da tutti in Europa e in Italia compresi gli avversari, è il segno più evidente di un Sud politicamente feudalizzato dal partito che viceversa si presenta come quello della responsabilità e dichiaratamente di maggiore fede europeista.

Questa scelta di Letta è, allo stesso tempo, miope e inaccettabile perché come questo giornale ha scritto in assoluta solitudine il tema vero del Mezzogiorno e della sua capitale, che è Napoli, non è essere l’ennesima bandierina da issare nelle piazze per fare propaganda, ma dare attuazione concreta a quel Piano concordato con l’Europa che è il frutto migliore della coerenza meridionalista degasperiana del governo Draghi mettendo in campo la squadra dei migliori. Al posto di dire grazie ad Amendola, l’uomo che appartiene alla storia nobile di questa città e a quella europeista vincente dell’Italia, collocandolo in testa alla lista e dimostrando agli elettori consapevolezza di quanto sia prezioso il suo contributo nei passaggi operativi chiave con l’Europa dove la politica meridionalista diventa o non diventa una cosa seria, si catapultano su Napoli figure che stimiamo a livello nazionale ma non espressione di quei territori e si mette nella condizione di fallire chi esprime al meglio l’idea di un Mezzogiorno avanguardia del Paese partendo proprio da Napoli.

Poiché le liste sono aperte fino al 22 se il segretario del Pd vuole recuperare un po’ di dignità ai nostri occhi deve porre urgente rimedio. A una Napoli e una Campania vergognosamente feudalizzate, fa da contrappunto una Bari e una Puglia dove comandano i cacicchi e non sono lasciati spazi a ingressi competenti esterni al giro dei cacicchi. Se Napoli viene trattata in questo modo, anche qui i cacicchi difendono comunque le ragioni della famiglia De Luca, e in Puglia prevalgono i rapporti di potere pagando il prezzo più alto al cacicco più forte, lo spirito prevalente che viene fuori è quello di una politica localistica, non di una politica di interesse nazionale che colloca questi territori al centro dei suoi programmi di investimenti.

Anche in termini proprio elettorali queste scelte sono poco lungimiranti per il Pd perché il Sud è cruciale se devi fare il braccio di ferro con il centrodestra in presenza di una tendenza storica della comunità a correre sempre con il vincitore che i sondaggi accreditano nella Meloni e di una concorrenza dei Cinque stelle legata al reddito di cittadinanza che si farà sentire. Si ha, a volte, davvero la sensazione di essere tornati alla battuta di Craxi sulla politica fatta di nani e ballerine. Che volendola interpretare oggi potremmo dire che le ballerine sono quelli che vanno ai talk e i nani sono i funzionari dei partiti ai quali non puoi dire di no.

È la maledizione della politica italiana da quando si è arresa a questo gioco al ribasso a destra come a sinistra senza avere, tranne casi rari, momenti di forza in cui le priorità si ribaltano. Siccome non c’è un progetto loro, che viene prima, i partiti hanno bisogno delle donne e degli uomini bandierine. Viceversa a noi sarebbe piaciuto un ragionamento di questo tipo. In questa nuova legislatura le cose centrali sono la questione economica, la questione del rapporto con l’Europa e quella ricorrente della riforma costituzionale – siamo partiti con la Commissione Bozzi e siamo arrivati al referendum di Renzi – e quindi io scelgo i candidati che possano dire qualcosa di serio per noi in questi campi a Napoli come a Bologna, a Firenze come a Bari.

Se si fosse scelta questa strada non avremmo perso per strada gli Amendola e i Ceccanti perché il giro lo avremmo cominciato dal verso giusto non da quello sbagliato che va all’incontrario. Siccome il tempo per recuperare c’è, non si abbiano ulteriori esitazioni a correggere il tiro.


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