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Christine Lagarde

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Per Christine Lagarde non sono stati giorni facili. Con le sue dichiarazioni ha provocato almeno due crolli, quasi consecutivi, nei mercati finanziari del Vecchio Continente. Il ministro Renato Brunetta, intervenendo al Festival dell’innovazione de Il Foglio, non le ha risparmiato delle osservazioni critiche: «Chi presiede la Bce non può essere all’origine di crolli di borsa sistemici, con aumenti di spread sistemici dopo una sua dichiarazione», come era già avvenuto con la prima intervista dopo essere stata appena nominata.

Poi, richiamata all’ordine, Lagarde ha effettuato le necessarie smentite e messe a punto: la Bce non lascerà che i Paesi ‘’fragili’’ si arrangino con i loro titoli di Stato, alzando in modo non sostenibile i tassi per trovare degli acquirenti; Francoforte continuerà la sua opera di soccorso per evitare la ‘’frammentazione’’ ovvero per impedire, ove del caso, un’eccessiva divaricazione degli spread.

L’intervento di Palazzo Chigi, tramite l’economista Francesco Giavazzi, è senz’altro servito a rimettere a posto le cose. Ma non tutte le critiche alla presidente della Bce sono state corrette e condivisibili. Matteo Salvini ha trovato il pretesto per ritornare trionfalmente agli antichi (dis)amori, prendendosela con l’Europa senza fare alcune distinzione sulle responsabilità e le competenze di ciascuna delle istituzioni dell’Unione. Il Conducator della Lega (in attesa del ‘’suo’’ 25 luglio) è stato seguito da un grido di allarme corale ‘’ritorna lo straniero’’; ovvero si staglia all’orizzonte la linea del rigore, il ‘’male assoluto’’.

È il caso allora di ricordare alcuni principi che dovrebbero essere ovvi ma che da noi non lo sono; anzi, vengono ritenuti espressione della infausta politica dell’austerità. Sappiamo tutti quali sono state le emergenze che hanno indotto la Bce a finanziare in pratica gli Stati con massicci acquisti dei loro titoli di debito pubblico. Dapprima la crisi finanziaria del 2008, a cui seguì, dopo l’implosione della Grecia, quella del debito sovrano; poi, quando i Paesi più in difficoltà, tra cui l’Italia, avevano cominciato a scrivere sulle tavole del Pil, un modesto segno più, è stata la volta della pandemia, che ha colpito dall’esterno – attraverso le misure di contenimento, le difficoltà dei traffici, le chiusure della mobilità delle persone – la struttura produttiva. In condizioni di emergenza protratta e grave la cultura contadina insegna a mettere in salvo prima di tutte le sementi.

La Bce ha fatto questo per anni, impedendo il default degli Stati. Ma chiunque saprebbe distinguere tra una situazione di crisi e la corretta gestione delle finanze pubbliche. Basta porsi una domanda, anche facendo un banale riferimento al bilancio di una famiglia. E’ una politica normale, da adottare stabilmente, quella intrapresa e condotta a lungo dalla Bce, prima, dalla Commissione e dal Consiglio, poi, per fronteggiare gli effetti della pandemia con il Pnrr? La proclamazione del ‘’liberi tutti’’, dell’enrichez- vous, a spese delle future generazioni, è una strategia sostenibile nel lungo termine?

È stato chiarito fin dall’inizio della crisi che la sospensione delle regole dei trattati era una scelta obbligata che sarebbe stata portata avanti per il tempo necessario, ma non rappresentava la NEP di istituzioni europee che finalmente avevano capito quanto fosse sbagliata ed egoista la politica del rigore che si apprestavano a ripudiare per sempre in nome del cambiamento. Di solito i Paesi compiono scelte dettate dalla disperazione quando (si veda il caso dell’Ucraina) sono coinvolti in un conflitto: il primum vivere diventa la priorità. Ma il dopoguerra lascia anche i vincitori con le ossa rotte e le società in balia delle peggiori reazioni. Non c’è da brindare sui balconi per un indebitamento ed un debito che potrebbero scappare di mano nel volger del battito di ali di una farfalla. Certo. E’ positivo che i Paesi dell’Unione abbiano reagito insieme e che cerchino di utilizzare, in maniera produttiva ed efficiente le risorse, che hanno messo in campo. Ma – ad avviso di chi scrive – era meglio quando andava peggio: allorché si doveva negoziare con Bruxelles il deficit consentito nella legge di bilancio per l’anno successivo. Un conto allora è graduare l’intervento di natura straordinaria in rapporto alle circostanze di fatto: è un altro paio di maniche pensare che basti stampare moneta o emettere titoli con un acquirente pronto ad acquistarli senza porre condizioni.

Ricordo che anche una persona di grande equilibrio e di sicura fede europeista come Sergio Mattarella fornì qualche alibi ai politici sempre pronti a gettare risorse dall’elicottero. In un messaggio di fine anno, quando la Ue invertiva – eccezionalmente – il suo approccio alle politiche di bilancio, il presidente dichiarò: «Alla crisi finanziaria di un decennio or sono l’Europa rispose senza solidarietà e senza una visione chiara del proprio futuro. Gli interessi economici prevalsero. Vecchi canoni politici ed economici mostrarono tutta la loro inadeguatezza». E come contrappunto: «Ora le scelte dell’Unione europea – aggiunse Mattarella – poggiano su basi nuove. L’Italia è stata protagonista in questo cambiamento».

Dieci anni or sono su quella finanziaria si innescò la crisi ben più grave degli Stati e del loro debito sovrano dopo il crack della Grecia (che venne salvata – non è stata solidarietà questa? – dall’intervento in moneta sonante dell’Unione europea, Italia compresa). Il nostro Paese aveva uno spread ben superiore a 500 punti base e piazzava i suoi titoli a tassi medi intorno al 6-7%. Un punto in più e. secondo la Banca d’Italia, il debito sarebbe divenuto insostenibile. Oggi il Tesoro ha collocato un’emissione di Btp a 10 anni con un tasso del 4%, un livello raggiunto nel breve volger di qualche mese; è ripartita un’inflazione da costi (dei prodotti energetici, delle materie prime e dei servizi) che si appresta a demolire il potere di acquisto e ad innescare la spirale perversa salari/inflazione.

Vi sono le condizioni perché il quadro economico e sociale peggiori, ma non possiamo permetterci di tornare ad essere ‘’virtuosi’’ nel giro di una notte. Occorre però capire che non vi sono le condizioni per una riduzione purchessia del prelievo fiscale, che non possiamo permetterci ulteriori scostamenti di bilancio, né una riforma delle pensioni come quella che chiedono (in verità con una voce sempre più flebile) i sindacati. I partiti hanno in testa solo le elezioni e cercano qua e là delle bandierine da piantare nella testa dell’elettorato, anche a costo di non impegnarsi adeguatamente.


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