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Antonio Tajani e Matteo Salvini

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SE SI potesse guardarla dall’alto e senza coinvolgimento perché non ci tocca, la politica italiana apparirebbe ben strana. La guerra per l’invasione russa in Ucraina va verso una fase di continui inasprimenti, non si vedono all’orizzonte volontà di trovare soluzioni negoziate, il nostro paese dovrà affrontare le conseguenze di questo cambio di orizzonti e i partiti faticano a parlare di cose serie.

Non tutti in egual misura, questo è vero, ma nessuno riesce realmente ad imporre un serio confronto sui nodi che dovremo sciogliere. L’aspetto più triste è la demagogia di quelli che fingono di occuparsi della gente che fa fatica a tirare avanti per difendere in realtà vecchi privilegi e per agitare fantasmi. È il caso tipico della destra con la questione della riforma del catasto, che non si vuole perché alzerebbe la tassazione (eventualmente nel 2026), evitando di dire che ci sono diseguaglianze e sperequazioni che nel caso si riuscissero ad eliminare consentirebbero di ridurre il prelievo su molti singoli mantenendo il gettito complessivo.

Non parliamo della storiella sul taglio dei costi delle bollette energetiche, che è la solita barzelletta di chi crede che tutto si possa fare a colpi di decreti, senza tenere conto che i soldi che metti per turare una falla li devi poi raccogliere da qualche altra parte. Fra il resto con la moneta europea comune non è neppure più possibile provarci col giochetto di stampare più banconote, il che peraltro era una soluzione assurda perché portava ad una inflazione che distruggeva davvero la ricchezza di tutti e i redditi e i risparmi di ogni cittadino. Ovviamente oggi è difficile avere canali per far ragionare la gente su questi semplici aspetti e tenere così a bada i vari demagoghi: i media, specie i talk show televisivi, sono troppo impegnati a vendere “opinioni” a buon mercato e spettacolari per impegnarsi a preparare il paese ad una fase che sarà inevitabilmente complicata e che non può essere affrontata facendo gli scongiuri.

Si è detto che non tutti i partiti sono egualmente irresponsabili, anzi anche in quelli che hanno leader “descamisados” ci sono componenti che si rendono conto che stiamo impegnandoci in giochetti pericolosi, ma nessuno sembra al momento in grado di fermare la giostra. La ragione è semplice e l’abbiamo già scritto: con le elezioni amministrative da qui a due mesi tutti devono tenere in piedi qualche genere di coalizione. Il PD di Letta avrebbe anche ambizioni di serietà, ma non se la sente di buttare a mare il demagogo Giuseppe Conte e i suoi seguaci. A destra è tutto un rincorrersi nel timore di perdere quel tanto di voti che poi potrebbero fare la fortuna decisiva del concorrente interno e così Salvini, Meloni, Berlusconi coi rispettivi staff si guardano bene dal fissare un argine verso i conati populisti. Draghi è imbrigliato in questa rete. La situazione di crisi generale gli impedisce di giocare la carta decisiva di minacciare la sua rinuncia al ruolo a cui è stato chiamato da Mattarella. Il solo ipotizzare qualcosa di simile nel contesto attuale avrebbe effetti destabilizzanti che il paese non può affrontare.

Al Quirinale lo sanno e suggeriscono al premier di pazientare e di andare avanti aggirando le bizze dei partiti. Come? Non è chiaro, anche se ci pare di intuire che si stia puntando sia pure in sordina a vedere se si possa varare un nuovo “patto sociale” con sindacati e rappresentanze dei datori di lavoro per offrire un nuovo strumento rappresentativo per una opinione pubblica che più che alzate d’ingegno vorrebbe vedere azioni di tutela per mantenere governabile la situazione. Se questa strategia potrà avere successo non è facile prevedere. Ci sono componenti demagogiche e populiste anche fra i sindacati e nelle organizzazioni che rappresentano le imprese. È vero che entrambe le parti hanno un contatto più realistico con la situazione concreta e si rendono conto che più che promettere la luna conviene lavorare per garantire la continuità del sistema economico.

Tuttavia questo richiederebbe molta fiducia nel sistema di governo, che non sta solo a Palazzo Chigi, ma anche nelle regioni, nei comuni e non solo. Si tratta di luoghi dove certo possiamo trovare un buon premier e alcuni buoni ministri, qualche bravo presidente di regione, qualche sindaco veramente capace, ma dove comunque si devono fare i conti con i partiti e con i loro appetiti elettorali. Per carità, è la democrazia e non suggeriamo certo di sostituirla con qualche forma di autocrazia, fosse pure affidata a dei “competenti”: ci metteremmo su una china pericolosa.

Resta il fatto che almeno un minimo di razionalizzazione andrebbe instaurata. Draghi sfida le follie varie con la ricerca di soluzioni possibili: lo ha fatto nella fase difficile della pandemia, lo sta facendo ora cercando di tenere sotto controllo le emergenze indotte dalla guerra. Ma miracoli non può certo farne e sa bene che il rischio che tutto imploda dopo l’estate è purtroppo una probabilità. Una fine tumultuosa della legislatura senza neppure uno straccio di legge elettorale che renda controllabile la competizione fra i partiti avrebbe conseguenze davvero poco tranquille. Come dimostra anche il recente caso delle presidenziali francesi lo scollamento dell’opinione pubblica che ormai non si riconosce più nelle partizioni tradizionali (lì erano quelle fra post-gaullisti e socialisti) lascia in campo solo una competizione di “personalità” (più o meno accettabili, più o meno all’altezza). Ma in quel caso si tratta di una costituzione che è nata per dar al popolo un monarca repubblicano che comunque ha al suo servizio un sistema burocratico piuttosto efficiente e solo parzialmente prono al sovrano di turno (che è a termine).

Da noi c’è una costituzione che era stata concepita per favorire un equilibrio fra “mondi” socio-culturali diversi che dovevano stare in equilibrio senza lasciare spazio ai personalismi. Ora quei mondi non ci sono più, sono arrivati i personalismi ma con poche vere personalità e troppo spesso la burocrazia è una indecente spartizione fra clienti dei partiti. Per questo le nostre prospettive per il futuro sono più inquietanti di quelle della Francia di oggi.

(da Mente Politica)


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