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AVELLINO – Dalla necessità di una selezione più attenta delle classi dirigenti a un ritorno possibile alla cultura dell’Appennino, dall’importanza di una progettualità che guidi la ripartenza a una debolezza strutturale con cui non si può non fare i conti. Sono tanti gli spunti di riflessione emersi dal convegno dedicato all’Irpinia dopo il Covid, promosso dal Centro Dorso. E’ il presidente Luigi Fiorentino a porre l’accento sulle opportunità che si aprono per il Mezzogiorno, a partire dalle risorse che arrivano dall’Europa “Opportunità che non possiamo cogliere senza affrontare i nodi storici del Mezzogiorno, dall’infrastrutturazione di nuova generazione ai gap formativi, fino ad una revisione delle politiche della sanità che hanno retto, malgrado i tagli. Siamo convinti che l’Irpinia abbia tante possibilità di sviluppo, legate alle potenzialità turistiche”.

Giuseppe De Rita, presidente del Censis, sottolinea come “il Sud abbia bisogno di crescere dal basso, non è un territorio che deve essere rifondato. Malgrado gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno le aree interne sono rimaste periferiche. E’ rimasto ben poco di quella cultura dell’industrializzazione e delle grandi opere. Il Sud è oggi un sistema che muta lentamente ma in continuazione. Anche la lotta all’analfabetismo, non ha dato i risultati sperati, il Mezzogiorno ha finito con l’ingoiare la scuola, adeguandola ai propri equilibri. Il risultato è stato che l’istruzione non ha svolto il suo ruolo di rottura dei vecchi schemi”.

Non ha dubbi De Rita “Oggi la priorità è rispettare i territori, esistono tanti Sud a cui guardare”. Ricorda come “I patti territoriali mi hanno consentito di lavorare con le classi dirigenti locali”. Sottolinea come “il Sud è stato colpito dalla pandemia meno del Nord Italia, ha reagito all’emergenza con calma, difendendo i valori e i territori. A risultare vincente è stato il vincolo della comunità. Oggi a ritornare è la cultura dell’Appennino. Ma ritornare al borgo significa trasformare i territori dal basso e insieme i valori con cui ci siamo misurati”.
Ribadisce come Salverino De Vito “è stato l’unico politico che ha creduto in una progettualità dal basso, come la legge sull’imprenditoria giovanile. E’ stato l’unico momento in cui la politica si è fidata del Sud”. E sulle classi dirigenti “Non nascondiamoci di fronte quest’alibi. Quando una comunità è sfidata, la classe dirigente si forma. Quando firmavamo i patti territoriali arrivavano anche i vescovi. Le classi dirigenti sono inadeguate dappertutto ma devono essere chiamate su questioni che conoscono”.


Gerardo Capozza, consigliere per il Sud del Presidente del Consiglio, spiega come “manchi la capacità di definire una linea politica, di costruire un pensiero. La gente ha bisogno di risposte concrete. In dieci anni, come sindaco di Morra, sono riuscito a spendere trenta milioni di fondi europei, ho portato in Irpinia aziende importanti che hanno creato occupazione, consentendo a tanti giovani di non partire. C’è bisogno oggi di un nuovo intervento per il Sud, di una classe dirigente aperta, non legata ai personalismi e ai campanili. Manca una struttura tecnica presso i piccoli comuni capace di far fronte a quelle competenze oggi richieste nelle amministrazioni”. Ribadisce come “le scuole e le Università debbano tenere conto delle esigenze dei territori. Penso all’importanza di formare periti chimici, alla scommessa che potrebbe rappresentare un corso dedicato all’areospazio”. Pone l’accento sul ruolo centrale che possono rivestire i Cis, i Contratti interistituzionali di sviluppo e ritorna sulle opportunità offerte alle aree interne “Si assiste ad una fuga dalla città, i piccoli borghi si possono ripopolare a patto di garantire servizi e qualità della vita. Ecco perchè dico è ora di finirla con l’elezione di sindaci sulla base di rapporti di amicizia. Servono competenze capacità di spendere le risorse offerte dai fondi europei”.


Domenico Carrieri, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze sociali ed economiche dell’Università di Roma chiarisce come “la pandemia ha sfiorato il Sud ma il suo impatto sociale ed economico è stato più drammatico che nel resto del paese. L’Irpinia e il Sud sono caratterizzate da un capitalismo fragile con numerose imprese vicine alla sussistenza. La terapia indicata per superare questo deficit è quella dell’abbandono di una competizione economica, dell’investimento su una dimensione basata sulla qualità della produzione e sulle risorse lavorative”. Ricorda come “oggi le risorse ci sono ma manca un progetto. Di qui la necessità di un ruolo di motore a regia pubblica, rispettosa dei territori, delle potenzialità locali. I patti regionali potrebbero essere una soluzione in questa direzione”. Ma ricorda come la sfida “deve essere anche quella di colmare il divario culturale che caratterizza i territori, di qui il ruolo cruciale di scuole e Università del Sud”. Ribadisce come “diventa fondamentale puntare su una politica che rafforzi gli sgravi contributivi per l’occupazione femminile. Il Mezzogiorno ha bisogno di creare opportunità di lavoro anche scommettendo sul welfare nel segno di un’assistenza di qualità”. Sottolinea come “altra criticità è quella legata alla debolezza della politica, non più affidata ad un rapporto centro periferia basato sulla leadership. Nè c’è un coordinamento istituzionale efficace, di qui la necessitò di una riorganizzazione delle strutture pubbliche con l’assunzione di giovani con competenze più forti che garantiscano una continua innovazione”.


Il giornalista Generoso Picone sottolinea la debolezza di un territorio che non sa cosa vuole essere, che manca di una classe dirigente capace di progettare il futuro. Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra, ritorna sulla centralità del nodo infrastrutture “All’indomani del sisma i nostri comuni hanno fatto registrare una perdita di 2000 persone all’anno. Ci sono paesi che perdono 40 unità all’anno. Ecco perchè non si può non puntare su idee, fiducia e velocità perchè bisogna che i nostri territori tornino ad essere attrattivi per i giovani”. Mentre Giovanni Di Minno, professore ordinario di Medicina interna presso il Dipartimento di Medicina clinica e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II sottolinea la necessità di riorganizzare i sistemi di medicina territoriale “Non possiamo caricare gli ospedali di ogni genere di incombenza. Bisogna distribuire le competenze tra ospedali e territori. Al tempo stesso è opportuno formare in maniera adeguata i medici di medicina generale”. A sottolineare la necessità di investire sulla formazione per compensare gli squilibri tra aree interne e città Marco Rossi Doria “E’ necessario rilanciare l’intero sistema recuperando la spesa pubblica, riarticolando risorse su alleanza territoriale tra comuni, terzo settore e scuole per costruire sviluppo educativo”. Mentre Giovanni Solimine dell’Università di Roma parla della centralità della cultura come relazione. A portare un contributo al dibattito anche Veronica Barbati, Coldiretti Giovani eGiorgio Palmucci dell’Emit.

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