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Il presidente del Consiglio Meloni con don Patriciello a Caivano

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Lo spessore dei sentimenti contrapposti si taglia a fette. Lacrime, dolore, rabbia, speranza si fondono e si rinnovano in un solo grido tanto a cuore dei napoletani per quella che fu una pagina amara degli anni ‘80: quel “Fate presto” all’indomani del terremoto. I fari accesi su questa realtà dell’entroterra, sconvolta da fatti mostruosi, sono percepiti in modo diverso. Chi dice “Finalmente qualcosa si muove” e chi, invece, rispolverando un timido sentimento di orgoglio dice “Andate via, qui non è Gomorra”.

Ora, dopo i fatti dello stupro delle due bimbe e il grande clamore che il caso ha sollevato, si avverte una nuova e diversa sensazione: il timore che serpeggia tra i soggetti della comunità. Dicono in tanti: “Vuoi vedere che dopo che lo Stato ha mostrato i muscoli, portando a termine una brillante operazione che ha consentito di entrare nel ventre molle del Parco Verde e scoprire ciò che solo in parte si sapeva, con il trascorrere del tempo tutto possa normalizzarsi e a fari spenti riproporre le mostruosità che hanno illuminato una terribile realtà? E’ accaduto così ogni volta che ci si è trovati di fronte ad una emergenza che ha colpito il Paese.

“E tu che vuò sapè (cosa vuoi sapere)” mi dice una giovane madre il cui sguardo consegna minacce. Cerco di rassicurarla, ma ci riesco solo in parte perché il suo dire continua ad essere di sfida: “Fino ad ora – mi apostrofa – dove siete stati, mentre qui si consumavano fatti terribili. Noi siamo mamme e in questi giorni siamo tempestate di domande. Una delle verità che posso dirvi è che qui mancano assistenti sociali, è del tutto assente la sorveglianza dei luoghi di spaccio”, aggiunge senza voler declinare il suo nome. Tutte le risposte degli intervistati si modulano sulla denuncia di una lunga assenza mentre il mostro agiva indisturbato.

E’ difficile incontrare nugoli di persone che commentano l’accaduto. C’è un rifiuto palese a lavare i panni sporchi in pubblico. “Ci trattano come appestati”, ripete una donna che aveva preso parte al corteo per protestare contro coloro che avevano stuprato le bambine al Parco Verde. In quella occasione era emerso un altro aspetto della difficoltà di rendere palese ciò che quasi tutti in paese conoscevano da tempo: un senso omertoso da non confondere come complicità al malaffare, ma come paura per eventuali azioni di rappresaglia. La complicità del silenzio narrativo ha fatto sì che il disagio aumentasse in modo esponenziale.

Don Maurizio Patriciello, avvisato dalla camorra con una bomba carta esplosa davanti alla chiesa di San Paolo Apostolo nel marzo del 2022 e finito sotto scorta per le minacce di morte ricevute, è una delle più autorevoli voci che grida contro il malaffare. E’ stato lui in prima persona a scegliere la trincea in cui la narrazione degli eventi ha allertato istituzioni e opinione pubblica, “La nostra attività continua” sottolinea don Patriciello. “Questi sono quartieri problematici, che io dico sempre di essere nati con il ‘peccato originale’, ribadisce. “Ci misero tutte queste famiglie povere, molte anche oneste, che poi in questi anni se ne sono andate e hanno lasciato le loro case alla camorra che ne è entrata in possesso. E quindi, man mano che passa il tempo, se lo Stato non fa sentire forte la sua mano diventa sempre più problematico”.

Già lo Stato. O meglio il governo. A Caivano ci ha pensato Giorgia Meloni, resasi conto personalmente, su invito del parroco don Maurizio, della situazione drammatica che attraversa il Parco Verde, il centro sportivo. La premier ha lanciato una forte sfida dando concretezza alle promesse fatte con provvedimenti, sia pure per ora limitati, che aprono le porte della chiesa di don Patriciello ad una nuova speranza. Quanto possa essere rilevante, quindi, il timore del riabbandono di quella realtà da parte della comunità lo si legge sui volti dei cittadini che denunciano come sul disinteresse è stata costruita la storia negativa degli ultimi decenni, in un clima omertoso che ha emarginato chi nei tempi oscuri chiedeva giustizia e verità.

Sarà il futuro, che con il passare del tempo, consegnerà la prova della verifica. Intanto, se strade e viuzze restano mute, consentendo alle forze dell’ordine di agire al suono delle sirene, il caso Caivano diventa un riferimento per una maggiore conoscenza del disagio delle periferie in cui la criminalità minorile è diventata una emergenza contro cui lottare per ripristinare le regole di una convivenza civile.

Caivano, certo. Ma quante Caivano esistono nel Mezzogiorno? E perché l’emergenza criminalità minorile è così invasiva da mettere a rischio la stessa democrazia nel Sud.? Ovviamente non è solo un problema di repressione come sottolinea il governatore della Campania Vincenzo De Luca. Certo il territorio presidiato dalle forze dell’ordine è una necessaria risposta al disagio, ma ben altre sono le condizioni per fronteggiare la drammatica situazione.

“Il problema giovanile è una priorità assoluta – dice il magistrato Luigi Riello, fino a luglio scorso alla guida della Procura generale presso la Corte di Appello di Napoli -. E’ un problema che cova sotto la cenere anche quando non esplode in fatti eclatanti. Nessuno può chiamarsi fuori”. E aggiunge: “Repressione, prevenzione, educazione, scuola, lotta alla dispersione scolastica devono essere tutte cose che si fanno insieme. La ricetta non è una sola, ma è composita e per questo bisogna impegnarsi ogni giorno di più”.

A chi propone la soluzione di abbandonare le aree a rischio risponde il procuratore della Repubblica Domenico Airoma che fece condannare l’orco di Fortuna Loffredo: “Sarebbe troppo comodo liquidare il Parco Verde come una sorta di inferno rispetto al quale invocare forze di polizia, repressione e deportazione. Lì la camorra è certamente egemone, ma come affermava Giovanni Falcone la camorra non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sociale sano. Al Parco Verde il tessuto sociale è sicuramente malato e i responsabili sono coloro che hanno lasciato vuoti che la criminalità colma e attorno ai quali il degrado prolifera”.

C’è, comunque un filo, che lega tutte le Caivano del Sud. La mancanza di lavoro della popolazione giovanile, l’insidia, sempre presente, della camorra pronta ad assoldare i ragazzi desiderosi di guadagnare facilmente danaro, la difficoltà delle regioni meridionali nel non innovare la formazione (in alcune regioni prevalgono i corsi taglio e cucito), una editoria social senza controllo che genera pericolosa emulazione e non ultimo, l’assenza di progetti per l’inclusione sociale dei giovani con criteri assistenziali. Sono tutti obiettivi che il Consiglio dei ministri ha messo nella propria agenda e che, sia pure in parte, saranno utili per fronteggiare il malessere sociale che attraversa le periferie. Perché è in questi luoghi, ma non solo, che la dimensione della devianza minorile trova terreno fertile per espandersi.

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