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di ULDERICO NISTICO’

Leggiamo, ahimè, spesso di eventi folli, il matto che entra in una scuola, spara a dieci, venti persone, infine si uccide. L’ultima, uno sventurato ragazzo in preda a depressione, si getta dalla finestra dell’aula. Si possono esprimere tanti e diversi commenti di natura psicologica, psichiatrica, sociologica, didattica e quant’altro; ma me ne viene a mente uno solo: in tutto l’Istituto, in una piccola stanza, non c’è nessuno, ma proprio nessuno, magari un bidello dal passato sportivo, o l’ultimo della classe donnaiolo e nerboruto, che provano a reagire? Nel primo caso, morto per morto, almeno tentare di salvare la pelle propria e altrui; nell’altro, salvare il poveretto impedendogli con la forza l’insano gesto. Nel primo caso, dovrebbe scattare in ogni essere umano quell’istinto primario ed elementare di sopravvivenza che è comune anche ai più repellenti lombrichi; nel secondo, anche quello di solidarietà di gruppo, di cui, come insegna l’etologia, fanno mostra tutti gli animali gregari.
E invece no, il criminale spara, e tutti, professori allievi preside segretari ausiliari, stanno fermi a fare bersaglio; e un ragazzo sale sulla finestra con evidenti intenzioni, e tutti a guardare, indecisi e perplessi. “Sconcertati”, sentiamo dire quando, di fronte a un fatto serio, ci si informa che il ministro, il presidente hanno mostrato “sconcerto”, il che, alla lettera, vuol dire che sono stati presi da confusione mentale. Che ne pensereste, cari lettori, se, sorvolando le Alpi, vi annunziassero che il pilota dell’aereo è sconcertato pure lui? Io proverei a pilotare al suo posto. Dite voi, ma tu sai? No, però, sempre meglio dello sconcertato, sono! Bisognerebbe rendere obbligatorio lo studio di Giovan Battista Vico, che invece i miei colleghi di filosofia freudianamente saltano. Che dice, il sommo napoletano? Che nella terza età, quella degli uomini, i popoli raggiungono la piena lucidità intellettuale e civile, liberandosi da ogni barbarie. Di conseguenza, i suddetti popoli muoiono, proprio per mancanza di barbarie, di vivacità istintuale, di reattività, di amore per la vita, di sensi semplici e forti. Al contrario, dilagano (in Calabria più che altrove!) i pensatori, i riflessivi, i dicotomici, i nevrotici, gli utopisti, i rinviatori, i furbastri del ci devo pensare, gli sfibrati e sfaldati fisicamente e moralmente, i buonisti, i maschietti cocchi di mamma e becchi di moglie, i vinti in partenza, i rinunciatari: e, quel che peggio, queste malattie del fegato e dell’anima, gabellate per atteggiamento culturale, a seguito di insegnamento a scuola di incomprensibili poesie (in verità, prose andando ogni tanto arbitrariamente a capo) di sedicenti poeti altrettanto malati. E invece, insegna sempre il Vico, i popoli raggiungo il loro culmine di civiltà quando resta loro abbastanza barbarie. E sono gli ateniesi del V secolo aC, che filosofeggiavano e scolpivano e scrivevano tragedie, però quando i persiani invasero la Grecia, piantarono scalpelli e penne, e si mangiarono vivo il nemico. Letteralmente: Cinosarge, perse entrambe le mani, prese a morsi una nave in fuga! E Fidippide, dopo una giornata di battaglia, si fece una passeggiatina di 42 chilometri per annunziare “siamo vincitori”. E Dante, il più grande dei poeti, fu uomo di furia e d’azione. E, mentre Beatrice stava in cielo, egli in terra dice di essersi dato da fare in privato. Ridateci i barbari.

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