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di ANDREA DI CONSOLI
Nulla è ancora certo al cento per cento, questo va detto in premessa. Però se le cose stanno come si sta ipotizzando, dopo diciassette anni di dolori e di misteri, di accuse e di colpi di scena, di silenzi e di errori, la verità sulla scomparsa di Elisa Claps ci viene restituita, salvo, appunto, smentite, sotto forma di macabra mummia. Ora, se davvero la notizia verrà confermata ufficialmente, Potenza avrà finalmente il dovere di raccogliersi intorno a quel che rimane del corpo di Elisa, e di azzittirsi, e di firmare un armistizio. La guerra per bande che è scoppiata all’indomani della scomparsa di Elisa è una delle pagine più nere del capoluogo lucano. Non chiediamo perciò il lutto di facciata, né il finto dolore, né lo scotimento di capo di chi di fronte alla morte non sa far altro che rispolverare l’inutile vocabolario della retorica funebre, ma chiediamo l’armistizio, la fine di una stagione vergognosa, la deposizione delle armi. La guerra, adesso, è quasi finita. Cosa dovremmo dire, che siamo addolorati per questo ritrovamento? Ci è estranea la parata di circostanza. Addolorati lo siamo sempre stati, anzitutto per la scomparsa di una giovane ragazza, a cui la malasorte ha sottratto il bene più prezioso, ovvero le infinite possibilità che la vita può offrirti sotto forma di futuro, ma anche per le menzogne che sono state dette, per il fango che è stato gettato su persone perbene, perpetuando il dolore dell’innocente famiglia Claps nel cuore vivo di altre famiglie, altrettanto innocenti. Nei prossimi giorni la città sfilerà con i baveri alzati e con gli occhiali scuri, stretta in un lutto sincero, ma anche di facciata; eppure quell’atroce mummia, che alcuni operai hanno ritrovato casualmente nella Santissima Trinità di Potenza, starà ancora a lungo al centro dei loro pensieri, perché all’ombra di quella mummia il capoluogo ha vissuto una lunga stagione di sospetti, di odi, di menzogne, di violenze in giacca e cravatta. Questo del ritrovamento è un giorno nero, nerissimo. Ma è anche un giorno cruciale, un giorno di verità. Certo, non abbiamo ancora il nome e il cognome dell’assassino, abbiamo mezze verità e prudenze ufficiali, ma possiamo sospettare che l’omicidio di Elisa sia avvenuto negli anfratti di una chiesa, lì dove si pratica il perdono, l’assoluzione da tutti i peccati del mondo; in quella stessa chiesa dove Danilo Restivo dice di aver visto Elisa la mattina del 12 settembre del 1993; e nella stessa chiesa, infine, dove il fu Don Mimì Sabia svolgeva la sua missione pastorale. Com’è possibile che il corpo morto di Elisa giacesse a pochi metri dei famigliari, dei magistrati, delle forze dell’ordine, della città tutta, senza che nessuno se ne accorgesse? E se quello non è il corpo di Elisa, allora quale è il suo nome? Cosa sono tutti questi morti che stanno acquattati negli interistizi della città? Cosa sono queste zone franche della città dove i morti sono espropriati finanche dell’ultimo diritto, che è quello della sepoltura? Cos’è questa sommersa cripta dei cappuccini nella pacifica Potenza? A questo punto però ci chiediamo anche come sia stato possibile che qualcuno parlasse di scioglimento nell’acido, di ‘ndrangheta, di massoneria e di coperture varie. Ovviamente nessuno chiederà scusa a Elisa, perché non si può chiedere scusa ai morti – i morti sono lontani dalla fiera delle menzogne e delle cattiverie, dalle chiacchiere e dalle carte bollate dei viventi. Ma nessuno chiederà scusa neanche a quelle “anime nere” che erano state inforcate nella pubblica piazza mediatica con l’accusa di essersi affannati a sciogliere nell’acido il suo corpo offeso. Pure chi sapeva che quelle “anime nere” erano persone perbene, ha infine taciuto, perché Potenza è anche città di quiete, di viltà, di meschino ripiegamenti nei propri casi particolari. Nessuno chiederà scusa al magistrato antimafia Felicia Genovese e al manager sanitario Michele Cannizzaro; e nessuno chiederà scusa a queste persone perché la terra in cui ho avuto la sorte di crescere è anche una terra che, certe volte, nottetempo, inforca i suoi figli più intelligenti. Questo è un giorno di dolore, di rabbia, di confusione, di sospetti che non muoiono. Ma siamo all’ultimo atto, appena prima dell’epilogo. Non si finga una pacificazione di facciata, ma si tenti almeno l’armistizio. I Savonarola di paese stiano in silenzio, quelli che fanno carriera saltando a trampolino sui corpi uccisi la smettano di usare berretti ufficiali storcendo con il fuoco della menzogna il ferro della realtà e della verità, i muti di mestiere provino vergogna per la piccolezza della loro inutile vita. Si smetta di assolvere tutti, oppure di condannare il primo che capiti a tiro. Ecco, sarebbe bello se la morte di Elisa – proprio nel momento in cui umilia con la sua tragica riapparizione la triste città in cui le è stato sbarrato il cammino – servisse a Potenza e all’intera Basilicata per crescere, e attenzione, non per modernizzarsi, come dicono i chiacchieroni mascherati da politici, ma proprio per crescere in cultura, in buon senso, in coraggio civile, in luce, quella luce che si è spenta con i cosiddetti “misteri” di Basilicata, e che ci ha reso benestanti epperò con i cadaveri sotto il letto, con l’odio in gola. Vogliamo dirlo? Ecco, lo diciamo col batticuore che sempre affligge quando bisogna dire una verità scomoda che altri tacciono: questo del ritrovamento è anche un giorno di liberazione. E’ un nero giorno di liberazione. Perché nel mentre constatiamo la morte di una giovane ragazza, contemporaneamente scopriamo con plausibilità che dietro la sua morte non c’è un occulto potere di “anime nere” che tutto può tramando nell’ombra. Perché la scomparsa di Elisa era due ferite, fino a ieri. Ora, invece, forse è solo una ferita: una singola ferita che mai guarirà nel corpo vivo di Potenza. Fa sempre molto effetto vedere che un “mistero” forse si schiarisce, specie quando a questo “mistero” si è dedicato lavoro e tempo, supposizioni e ragionamenti, solitudini. Ci si sente svuotati. Ma dopo l’armistizio verrà davvero la pace? Si farà la pace nel nome di Elisa? Riuscirà almeno la magistratura a dare un nome all’assassino senza ricorrere al caso o ai muratori? Finirà del tutto l’incubo? E chi merita davvero di dare sepoltura a quel che rimane di Elisa, se su quel corpo ognuno ha aggiunto un pezzettino di malafede? Nel nome di Elisa ci si è sbranati gli uni contro gli altri. Da domani, a sangue freddo, Potenza, o certi pezzi di Potenza, provino a stringersi la mano. Chiedere scusa, lo sappiamo bene, è la cosa più difficile che si possa fare. Ma ora è l’unico modo per onorare la memoria di Elisa, alla quale Potenza si affretti a dedicare una delle vie centrali della città, o una piazza, ma che sia colma di luce, di luce a perdifiato, di luce anche quando viene la notte. Sempre che quel corpo mummificato appertenga davvero a Elisa. Perché qui il rischio è di dire cose incerte, di prendere cantonate. Nessuno di noi, lo ammettiamo, ha la pazienza e il sangue freddo di attendere i referti ufficiali. Eppure scriviamo. L’impetuosità è un peccato veniale? A volte si pecca per eccesso di passione, per cose che stanno nella bocca come grumi di sangue.

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