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di Fabio Amendolara

POTENZA – Strangolata. Elisa è morta così. Chi l’ha uccisa le ha messo le mani alla gola e a stretto finché non è morta per asfissia. Lo dimostrerebbero alcuni segni che i medici anatomopatologi hanno individuato «nell’area della carotide».
Informazioni che combacerebbero con l’analisi della scena del crimine effettuata ieri mattina sul terrazzo, nei locali del terzo piano e nel sottotetto della chiesa della Trinità.
«I dati che sono stati raccolti – ha confermato Marco Gallo, l’investigatore privato ingaggiato dalla famiglia Claps – fanno pensare che sicuramente c’è stata violenza». L’investigatore, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha detto di non sapere «se ci sono tracce biologiche di Restivo sul corpo di Elisa e, comunque – ha aggiunto – non potrei rispondere».
Poi ha spiegato che «dai fatti ufficiali e storici è sicuro» che il 12 settembre del 1993, giorno della scomparsa, Danilo Restivo – l’unico indagato per omicidio, violenza sessuale e occultamento di cadavere – «è sicuramente stato con Elisa. Ora bisogna vedere quando e dove l’ha lasciata».
Per questo gli investigatori sono tornati in chiesa. Perché hanno sentito un testimone che sostiene che Danilo aveva accesso alle chiavi: «Erano nascoste in un contatore della luce». E lui «frequentava la chiesa». Non solo. «Ogni tanto aiutava don Mimì Sabia (parroco della Trinità per oltre 40 anni ndr) a chiudere il tempio a fine giornata». Ed era solito fare quella che don Mimì chiamava «l’ispezione». Il parroco voleva che prima della chiusura venissero controllate tutte le stanze e spente tutte le luci. Ecco perché Danilo, forse, conosceva bene i locali della Trinità.
Ma sarebbe troppo facile. In un giallo come quello di Elisa nulla è scontato.
E, al momento, non ci sono elementi che stabiliscono con certezza che Elisa sia salita nel sottotetto con Danilo.
In quel sottotetto dove è stata strangolata. Proprio vicino alla statua: «Una raffigurazione efebica di San Giovannino», conferma un investigatore. Una statua che non aveva mai trovato una precisa collocazione in chiesa. E che sta lì, al centro della stanza, chissà da quanti anni.
Elisa, invece, era in un angolo. Che ora è stato delimitato dagli investigatori con del nastro bianco e rosso.
Un’ispezione dei luoghi è stata effettuata anche nel centro giovanile che porta il nome del potente cardinale inglese Henry John Newman (autorevole apologista della fede) e che ha dei locali comunicanti con la chiesa. Da lì si accede anche a un deposito che, un tempo, veniva chiamato «discoteca».
Rocco Galasso apre alla polizia le porte del centro Newman.
Sceglie la via del silenzio con la stampa, ma della «collaborazione con gli investigatori per offrire loro importanti elementi, necessari a ricostruire la vita della parrocchia di 17 anni fa». E’ l’unica cosa che si lascia scappare.
Pare che – ma al momento è un’indiscrezione non confermata da alcuna fonte ufficiale – qualcuno del centro Newman abbia consegnato agli investigatori un’agenda con l’annotazione degli appuntamenti dell’epoca e appunti sugli avvenimenti più rilevanti.
Galasso ai cronisti non conferma neanche questo particolare. E si limita a dire che «non è questo il momento di dare le risposte che vorremmo a quanti vogliono vedere ciò che non esiste mettendo in dubbio la serenità e il rigore morale della vita in parrocchia o quella associativa del centro Newman». Poi dà una stoccata agli ambienti ecclesiastici: «Ci sarà il tempo per farlo e per dare a tutti le dovute risposte. Non escluso a quanti nella chiesa hanno avuto e hanno pesanti responsabilità di governo per il loro modo troppo affrettato con il quale hanno puntato il dito contro i laici o, semplicemente, assecondato i sospetti su un gruppo di giovani impegnati nel testimoniare la fede nell’ambito della cultura». E’ il suo ultimo commento. In chiesa c’è anche don Ambrogio, sacerdote che da qualche tempo amministra la Trinità. Si trattiene pochi minuti.
Poi dalla porta principale della chiesa esce il pm di Salerno Rosa Volpe. Anche lei schiva i giornalisti. C’è chi, dopo le parole del capo della polizia Antonio Manganelli, ritiene che sia già pronto un mandato di cattura per Restivo e lo chiede al pm. Lei non risponde. Si limita a dire: «Torneremo in chiesa se lo riterremo necessario».

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