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di Paride Leporace
Al Sud il don si assegna ai cornuti, ai preti e ai mafiosi.
Lasciando da parte chi ha problemi di coppia la manifestazione di domenica scorsa a Potenza per ricordare i 17 anni della scomparsa di Elisa Claps si è caratterizzata per le polemiche della famiglia della ragazza contro la Chiesa locale e i preti da un lato e da un altro versante per il sermone scritto e recitato davanti alla Trinità da don Marcello Cozzi contro il magistrato Felicia Genovese e il marito Michele Cannizzaro accusati pubblicamente di essere in odor di mafia La famiglia Claps accusa di gravi omissioni la gerarchia ecclesiastica. In verità l’accusa è da illecito penale. Si tratterebbe di occultamento di cadavere. Gildo Claps sostiene che dal 1996 si sapeva quello che abbiamo tutti scoperto a marzo, e che comunque quel giorno di marzo 2010 il ritrovamento non fu altro che una messinscena. La procura di Salerno, che indaga sul caso Claps da molti anni, non risulta mai aver perseguito sacerdoti o ecclesiastici. Parole gravi quindi quelle della famiglia che hanno ragione di essere sostenute per il dolore e il lutto subito ma anche per le molte contraddizioni che siamo stati costretti a registrare nella macabra e inquietante vicenda. Un autorevole vescovo è solo in questa contraddizione, costretto a replicare alle accuse pesanti, con una solitudine rumorosa che registra solo una pallida solidarietà espressa dal piccolo partito della Democrazia Cristiana lucana.
Don Marcello Cozzi, parroco antimafia della chiesa potentina, di fatto portavoce e leader del movimento giustizialista locale, su questo versante è avaro di prediche e di suppliche. Vive la contraddizione di non poter lanciare anatemi al suo vescovo e ai suoi confratelli e domenica si è limitato a porre con i e del caso (unico dubbio del suo intervento) solo e soltanto il ruolo di don Mimì Sabia che riposa al camposanto. Ben altra piega il sacerdote di Libera ha assunto nei confronti del magistrato Licia Genovese e del marito Michele Cannizzaro.
Si badi, non una critica all’operato delle indagini che a pieno titolo può essere espressa e considerata, ma invece davanti alla Trinità chiusa abbiamo ascoltato un teorema che fa rabbrividire qualunque regola del vivere civile. Don Cozzi si è rivolto al Capo dello Stato nella sua qualità di presidente del Csm perché intervenga nei confronti del magistrato Felicia Genovese moglie di una persona che telefonava ad esponenti della ‘ndrangheta. Siamo in presenza di una mostruosità giuridica e civile che aggiunge solo veleni inutili al caso Claps. Il Csm si è già occupato di questa vicenda e nulla ha trovato da eccepire nei confronti della Genovese, né la procura di Salerno mai ha accertato responsabilità dolose del pm o del marito in questo procedimento. Giorgio Napolitano non è figura istituzionale che si nasconde quando le vicende sono spinose. Lo ha dimostrato recentemente rispondendo ad horas alla lettera dei tre operai di Melfi oppure sollecitando indagini accurate per le ricerche della quindicenne scomparsa in Puglia (quest’ultima vicenda dimostra ancora una volta come sia difficile trovare una persona che si recava a 150 passi di distanza). Un appello quindi inutile e che ha solo lo scopo di tenere la piazza calda contro un bersaglio ben prefissato. Le telefonate di cui parla don Cozzi sono il nulla giuridico. Nelle pagine di cronaca odierne le abbiamo analizzate ognuna nel suo contesto. Si tratta di singoli episodi legati a compravendite di case, a contatti con vicini di casa di parenti ammalati, prenotazioni di lidi estivi e battute di caccia a falchi già resi noti da “lauti pranzi” che servirono a costruire altri teoremi – sgretolatisi come case di marzapane – di inchieste giudiziarie molto occhiute e interessate. La santa inquisizione sosterrà che tutte queste persone con precedenti penali tra i più vari formano un contesto di sospetto. Ma solo chi ha vissuto in Calabria conosce certi contesti dove l’alimentarista, il cacciatore, il promotore finanziario hanno problemi di giustizia. Reggio Calabria non è Potenza e Laganadi non è Avigliano.
Ma poi la ‘ndrangheta che relazione ha oggi con Elisa Claps, Danilo Restivo ed eventualmente con don Mimì Sabia? Nessuna. Forse don Marcello Cozzi ha mai spiegato come nacque la leggenda urbana di Elisa sciolta nell’acido su direttiva di Michele Cannizzaro? Forse dovremmo chiederci come fu gestito l’ineffabile collaboratore Cappiello con i suoi racconti che hanno prodotto depistaggi non molto innocenti sul caso Claps.
E vigorosi riscontri andrebbero effettuati sul delitto Gianfredi che nelle sue zone ombre ha permesso di fabbricare teoremi da don su molti presunti don. Abbiamo fondati elementi per sostenere che in Basilicata si è combattuta una guerra senza quartiere tra pezzi di magistratura, apparati politici e servizi segreti. Una guerra che ha raggiunto lo scopo di estromettere Cannizzaro dal San Carlo e Licia Genovese dalla locale Procura. Evidentemente questo obiettivo deve essere mantenuto generando mostri con il sonno della ragione. C’è ancora bisogno di verità e giustizia in Basilicata. Per Elisa Claps. Per i coniugi Gianfredi. Ma anche per Michele Cannizzaro e Licia Genovese. Giustizia da tribunale e non da piazza. Considerato che la vicenda è aggiornata alle querele presentate s’inizi con quelle a stabilire chi ha torto e ragione. Magari ci sarà più serenità per comprendere chi ha ucciso e occultato il corpo di Elisa Claps. E anche chi ha ordinato il duplice omicidio Gianfredi.
p.leporace@luedi.it

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