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La congiuntura economica nel periodo 2008/2010 nella Regione Basilicata presenta indicatori con valori negativi ed inferiori rispetto alla altre regioni del Mezzogiorno. Analizzando i dati del 2010, si evidenzia che il Pil prodotto in Basilicata è pari a -1,3 (valore assoluto più altro del Mezzogiorno).
Il valore aggiunto realizzato nei vari settori è alquanto diversificato.
In agricoltura è stato di 5,5 punti percentuali (valore più alto fra le regioni meridioniali); nell’industria in senso stretto vi è il valore più basso fra le regioni meridionali (1,0 per cento) e nelle costruzioni il valore negativo è ancora più alto ed è secondo soltanto alla Sardegna (-8,4 per cento); nel settore dei servizi il valore percentuale negativo è il più alto fra le regioni meridionali (-1,6 per cento). Il mercato del lavoro nella Regione Basilicata presenta per il biennio 2008/2010 una variazione percentuale diversificato per settore produttivo (+1,6 per cento nel settore agricolo, -15,8 per cento nell’industria in senso stretto, di cui 1,9 per cento nelle costruzione e di -4,8 per cento nel settore dei servizi) con una differenza percentuale di 3 punti rispetto al valore medio italiano (- 5,4% in Basilicata e -2,3% in Italia). La Basilicata presenta una situazione di completa stagnazione dell’economia. Sembra che tutto si sia fermato. Non vi è più sviluppo e crescita e si aspettano sempre ulteriori finanziamenti pubblici per poter avviare i processi di ripresa strutturale. In generale nel Mezzogiorno ed in Basilicata, il fenomeno della disoccupazione è due volte superiore alla media nazionale, sia come tasso di disoccupazione ufficiale che come tasso di disoccupazione corretta. Un discorso a parte merita il fenomeno della disoccupazione giovanile. Il tasso di occupazione giovanile nel Sud Italia è pari al 2010 ad appena il 31,7% mentre nel resto del Paese è pari al 56,5%. Esiste una questione generazionale dell’occupazione al livello nazionale in termini complessivi ma che per il Mezzogiorno è diventata una emergenza ed un allarme sociale con effetti non facilmente prevedibili. Si può dire che i giovani, insieme alle donne sono state le categorie sociali che hanno maggiormente pagato la crisi. Vi è un altro paradosso nel Mezzogiorno e nella Basilicata, e cioè che i giovani che hanno maggiormente studiato sono quelli che sono costretti ad emigrare dal momento che la domanda di lavoro non è coerente con l’offerta e quindi tutte le nuove energie che il Sud necessita è costretto ad emigrare per individuare opportunità di realizzazione e di lavoro in generale. Senza i giovani nel Mezzogiorno, ed anche in Basilicata, non è più pensabile ad una crescita con una propria capacità di produrre effetti duraturi nel tempo. Il Rapporto presenta alcune considerazioni finali che tendono a individuare soluzioni efficaci per riequilibrare i rapporti di crescita fra nord e sud in una concezione nuova dello sviluppo dei territori. Non è possibile attivare politiche di redistribuzione o di rientro dal debito se non si avviano azioni di riequilibrio negli investimenti pubblici e privati nelle varie aree del Paese. Vi è una necessità di misure compensative come l’introduzione “di condizioni di vantaggio per gli investimenti soprattutto dove esistono potenzialità non utilizzate (una effettiva fiscalità di vantaggio al Sud sarebbe ovviamente opportuna); per altro verso vanno sperimentate misure in grado di ridurre l’impatto sociale della crisi nel breve termine con forme di sostegno ai redditi o almeno ponendo grande attenzione ai rischi di tagli alle prestazioni sociali (evitando gli effetti perversi di tagli indiscriminati). L’operatore pubblico, secondo lo Svimez deve assumersi una maggiore responsabilità attiva ed etica con una propria capacità di definire strategie di sviluppo dei contesti. Si avverte un maggiore protagonismo delle realtà locali come luoghi strategici per uno sviluppo più condiviso anche a livello globale. Non è più il tempo delle improvvisazione a tema senza un’adeguata strategia locale capace di attivare nuovi sistemi sociali condivisi. «La ridefinizione di una politica di sviluppo deve essere, secondo lo Svimez, una priorità nazionale complessiva che non può essere affidata alla spontanea allocazione del mercato ma rimanda ad interventi di politica industriale attiva volti a modificare nei prossimi anni la specializzazione produttiva del Paese nei settori suscettibili di maggiore crescita».È necessario che le azioni di crescita sociale ed economica si conciliano con le azioni di sviluppo strutturale basati sulla condivisione degli obiettivi e delle singole strategie opportunamente individuate come soluzioni comune ai problemi dell’economica locale e globale.

Antonio Sanfrancesco
(Sociologo)

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