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SOLO il «rifiuto categorico» dei minorenni di frequentare regolarmente la scuola, salva i genitori dalla condanna per aver omesso di fare impartire ai figli l’istruzione obbligatoria, quando papà e mamma, aiutati anche dai servizi sociali, abbiano dimostrato che a scuola i loro “ragazzi” proprio non ci volevano andare. Lo sottolinea la Cassazione con una sentenza depositata oggi con la quale è stato accolto il ricorso del procuratore della Corte d’Appello di Catanzaro contro l’assoluzione di due genitori di origine nordafricana i cui figli non avevano frequentato le scuole elementari nell’anno 2010-2011.  

Il giudice di pace di Trebisacce li aveva assolti dal momento che il direttore della scuola aveva scritto una lettera nella quale attestava che i due ragazzini in questione «avevano opposto, nonostante l’impegno dei genitori, il rifiuto di recarsi costantemente a scuola». Proprio questa “certificazione” aveva convinto il giudice di pace ad assolvere il padre e la madre dei due minori “renitenti” alla scuola elementare.   Ma la Cassazione, dando ragione al pg di Catanzaro, ha annullato il proscioglimento riaprendo il procedimento a carico dei due genitori rilevando che «il semplice rifiuto del minore a frequentare la scuola non costituisce motivo di esclusione della responsabilità penale». Ora si dovrà accertare se padre e madre «si fossero comunque adoperati» per far sì che i loro figli frequentassero la scuola. I Supremi giudici sottolineano che la “colpa” dei genitori, per l’abbandono scolastico dei figli, può essere esclusa solo quando emergono elementi «che rendono inattuabile l’adempimento dell’obbligo di istruzione».

Come, ad esempio, «la mancanza assoluta di scuole o di insegnanti; lo stato di salute dell’alunno, la disagiata distanza tra scuola e abitazione se mancano mezzi di trasporto e le condizioni economiche della famiglia non consentono l’utilizzo dei mezzi privati». Infine la Suprema Corte – nella sentenza 47110 –  ricorda che costituisce causa di non punibilità di padre e madre anche «il rifiuto volontario, categorico e assoluto, del minore non superabile con l’intervento dei genitori e dei servizi sociali».

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