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Il “lucano” Olivetti, l’Adriano della mitica Lettera 22 e del primo computer, ovvero l’Adriano Olivetti che sognò e lavorò per il Mezzogiorno anche di Basilicata tanto come per alcuni mozziconi del Settentrione italiano – vedi Ivrea ovviamente, è riletto dal sociologo Aldo Bonomi, dall’urbanista Alberto Magnaghi (quello della Rete del Nuovo Municipio ecc.) e dallo storico militante Marco Revelli attraverso la pubblicazione del nuovo saggio “Il vento di Adriano“; testo che, va precisato, porta giustamente in dote l’esemplare e giustificativo – per la natura dello studio stesso – “La comunità concreta di Olivetti tra non più e non ancora”. Riflessione, aggiungiamo per render ogni merito alla casa editrice, dato alle librerie dalla sempre attiva DeriveApprodi.

Sicuramente un lavoro tanto diverso ma se vogliamo altrettanto fondamentale della biografia del biografo più puntuale dell’industriale e figura politica Adriano Olivetti, Valerio Ochetto, pubblicata dal 1985 a qualche anno fa (ultima edizione anno 2013, Edizioni di Comunità Humana Civilitas – Fondazione Adriano Olivetti).

Ma cominciamo da un’altra parte. Perché il legame servirà alla discussione. Sul Corsera del 25 febbraio 2015, il costantemente attaccato Vulpio, omaggiando Leonardo Sacco, ricordava che “Olivetti era amico di Levi e durante i suoi viaggi negli Usa si rende conto dell’interesse suscitato anche lì dai temi di quel libro (il “Cristo”, ndr) che per lui erano stati illuminanti.

Così nel 1947, diventato commissario dell’Unrra-Casas (l’organismo delle Nazioni Unite per la ricostruzione dei Paesi danneggiati dalla quella e per il soccorso dei senzatetto), e poi nel 1950 presidente dell’Inu (Istituto nazionale di urbanistica), Olivetti “recluta” un giovane professore americano dell’Arkansas Friederich Friedmann, e gli affida la direzione di una commissione di studio sui Sassi. Nello stesso tempo, chiedi a un gruppo di urbanisti, architetti e sociologi guidata da Ludovico Quaroni di progettare, alle porte di Matera, un villaggio modello che si chiamerà La Martella (…).”

Per ricordare soltanto un momento dell’attezione dell’Olivetti comunitario per Matera e il materano. Che leggeva la Basilicata al fine di darle possibilità di progresso reale. Fortificate da citazioni e rimandi, letture e riletture, visioni per il domani e analisi del passato, gli scritti di Bonomi, Magnaghi e Revelli restituiscono la figura, sicuramente fuori dall’ordinario, dell’imprenditore “illuminato” Olivetti.

Però rispondendo, o provando a rispondere, o nel dare almeno una parte della risposta, alla domanda: cosa significa oggi, attualizzando il pensiero e l’agire di Adriano Olivetti, proporre il paradigma della “comunità concreta” a fronte della scomposizione del lavoro e dei radicali mutamenti del paradigma produttivo.

Bonomi ci spiegherà, quindi, che vuol dire “frapporsi tra flussi e luoghi, fare comunità ai tempi della simultaneità. Magnaghi dirà che è “ripartire dalla terra che si fa territorio, con la radicalità della rete dei territorialisti che disegnano e progettano bioregioni”. E Revelli aggiunge che è “ripensare i percorsi della fabbrica olivettiana, disegnando comunità che ripartono dal ‘mondo dei nuovi vinti’.” Pulite da un po’ di retorica di rito, trattasi di considerazioni ottime per parlamenti veramente assembleari.

Il vento di Adriano.
La comunità concreta di Olivetti tra non più e non ancora
di Aldo Bonomi, Alberto
Magnaghi, Marco Revelli,
DeriveApprodi (Roma, 2015), pag. 140, euro 12

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