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UN blog dev’essere qualcosa che va oltre la cronaca. Andare alle radici, magari di una passione. Ho accettato di scriverlo con questo spirito. La storia del bambino e del pallone l’ho sentita raccontare in un’intervista di Pelè. Roba di qualche anno fa, che non sono più riuscito a rintracciare.  Raccontava qualcosa di simile: “se metti un bambino davanti a un tappeto pieno di giocattoli e su quel tappeto c’è anche un pallone, la prima cosa che farà il bambino sarà prenderlo a calci”. Le passioni, quelle vere, non le genera l’abitudine o l’inerzia. Scattano da un colpo di fulmine. Il pallone è la metafora dello sport in generale, perchè mi ritengo quasi onnivoro. Solo le moto non sono mai riuscite ad appassionarmi. Il calcio mi ha formato, mi nutre quotidianamente e mi ha creato un lavoro. La pallacanestro è un amore maturo. Il blog mi consente il contrario di un dogma che cerco di impormi nell’attività giornalistica: evitare la tuttologia. Nel blog si può spaziare anche su quei fronti dove non sussistono gli standard minimi di competenza. Anche perchè non si offre un servizio, chi ti viene a leggere lo fa proprio per entrare nella tua testa. Non vuole troppi filtri. Con un po’ di presunzione credo di aver colto – anche per vissuto personale – cosa ci sia nella testa di ogni giornalista sportivo. 
In ordine sparso: 
a) sarei diventato un buon giocatore se la scuola e il lavoro non mi avessero sottratto tempo per gli allenamenti
b) sarei un ottimo allenatore, se solo qualcuno mi affidasse una panchina
c) sarei un lungimirante direttore sportivo, se solo qualcuno mi affidasse i suoi soldi per acquistare giocatori
Dietro ogni riga che scriviamo ritengo ci sia questa infinita presunzione, anche da parte di chi non lo ammette. Io preferisco giocare a carte scoperte. A proposito: la lettera “a” è confinata, alla soglia dei trent’anni, in patetiche esibizioni di calcetto. Per le lettere “b” e “c” si accettano proposte, mi ritengo sul mercato. 
Twitter @pietroscogna

Un blog dev’essere qualcosa che va oltre la cronaca. Deve andare alle radici, magari di una passione. Ho accettato di scriverlo con questo spirito. 

La storia del bambino e del pallone l’ho sentita raccontare in un’intervista di Pelè. Roba di qualche anno fa, che non sono più riuscito a rintracciare. Raccontava qualcosa di simile: «Se metti un bambino davanti a un tappeto pieno di giocattoli e su quel tappeto c’è anche un pallone, la prima cosa che farà il bambino sarà prenderlo a calci».
Le passioni, quelle vere, non le genera l’abitudine o l’inerzia. Scattano da un colpo di fulmine. Il pallone è la metafora dello sport in generale, perchè mi ritengo quasi onnivoro. Solo le moto non sono mai riuscite ad appassionarmi. Il calcio mi ha formato, mi nutre quotidianamente e mi ha creato un lavoro. La pallacanestro è un amore maturo. 
Il blog mi consente il contrario di un dogma che cerco di impormi nell’attività giornalistica: evitare la tuttologia. Nel blog si può spaziare anche su quei fronti dove non sussistono gli standard minimi di competenza. Anche perchè non si offre un servizio, chi ti viene a leggere lo fa proprio per entrare nella tua testa. 
Non vuole troppi filtri. Con un po’ di presunzione credo di aver colto – anche per vissuto personale – cosa ci sia nella testa di ogni giornalista sportivo. In ordine sparso: 
  • a) sarei diventato un buon giocatore se la scuola e il lavoro non mi avessero sottratto tempo per gli allenamenti
  • b) sarei un ottimo allenatore, se solo qualcuno mi affidasse una panchina
  • c) sarei un lungimirante direttore sportivo, se solo qualcuno mi affidasse i suoi soldi per acquistare giocatori.
Dietro ogni riga che scriviamo ritengo ci sia questa profonda consapevolezza, anche da parte di chi non lo ammette. Io preferisco giocare a carte scoperte. A proposito: la lettera “a” è confinata, alla soglia dei trent’anni, in patetiche esibizioni di calcetto. Per le lettere “b” e “c” si accettano proposte, mi ritengo sul mercato. 
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