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Dopo 21 anni rivelati i contenuti dei verbali sulle infiltrazioni in Basilicata e il ruolo di tre banche locali nel mirino della strategia della ’ndrangheta, coperti da riserbo i documenti su Rotondella e il deposito di uranio di Trisaia

POTENZA – Ventuno anni dopo si può rivelare che c’è stato un preciso momento storico in cui la Direzione distrettuale antimafia di Potenza ha preso di mira una rete di banche locali, non più esistenti, sospettata di aver trasformato la Basilicata nella centrale di riciclaggio per i clan di ‘ndrangheta delle regioni vicine, ma sulle inchieste sull’«uranio» di Trisaia di Rotondella no, non è ancora il tempo per fare piena luce.

C’è anche un capitolo oscuro della storia lucana nelle migliaia di pagine per le quali nei giorni scorsi la commissione bicamerale Antimafia ha ultimato le procedure di desecretazione e pubblicazione, perché siano a disposizione di storici e ricercatori.

I VERBALI DEL 2001 SULLA ‘NDRANGHETA IN BASILICATA E L’URANIO DI TRISAIA

Si tratta, in particolare, dei verbali della missione condotta a Potenza, a febbraio del 2001, con l’audizione delle principali cariche istituzionali, più inquirenti e rappresentanti delle forze dell’ordine, sulla situazione della criminalità in regione.
Di fronte al presidente della commissione, il senatore dei Democratici di sinistra Giuseppe Lumia, i senatori Euprepio Curto (An) e Luigi Lombardi Satriani (Ds), più il deputato potentino Peppino Molinari (Ppi) e il collega pugliese Nichi Vendola (Rc), sono stati sentiti, in particolare, l’allora procuratore distrettuale Antimafia di Potenza, Giuseppe Galante, e il pm Vincenzo Montemurro, tuttora in servizio nel medesimo ufficio giudiziario.

All’epoca su buona parte delle loro dichiarazioni la commissione decise di apporre quello che in gergo viene chiamato «segreto funzionale», in quanto riferito alle finalità istituzionali della commissione medesima, per distinguerlo dal «segreto istruttorio», che invece viene apposto su richiesta dell’autorità giudiziaria.
A luglio del 2019, quindi, la commissione presieduta dall’ex M5s Nicola Morra ha avviato una rivalutazione generalizzata di tutto il materiale coperto da «segreto funzionale» riferito alla XIII legislatura, quella rimasta in carica dal 1996 al 2001, avvalendosi dell’ausilio di un pool di magistrati, consulenti e finanzieri.

LA DESECRETAZIONE PERMETTE DI SCOPRIRE LE RIVELAZIONI DI GALANTE E MONTEMURRO

Di qui la desecretazione e la pubblicazione, che oggi permette di leggere, per la prima volta, buona parte di quanto venne riferito da Galante e Montemurro e coperto da “omissis” nei verbali successivamente diffusi. Inclusa una serie di circostanze oggetto di attenzione dei pm, che a un certo punto avevano messo sotto la lente 3 istituti di credito locali sospettando operazioni di riciclaggio dei soldi dei clan. Il tutto partire a dalle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, il pignolese Gennaro Cappiello. Lo stesso Cappiello che negli anni successivi sarebbe finito nella bufera per le accuse lanciate su due gialli potentini di quegli anni come la scomparsa di Elisa Claps, nel 1993, e il duplice omicidio dei coniugi Gianfredi, nel 1997.

«Un collaboratore di giustizia ha affermato essere a sua personale conoscenza che tutti i soggetti protestati, appartenenti alla criminalità organizzata calabrese, pugliese e campana, avevano la possibilità in tre istituti lucani (…), di aprire conti correnti».

LE BANCHE FINITE NEL MIRINO DELLA NDRANGHETA IN BASILICATA

Dunque non solo la Banca di credito cooperativo della Valle del Melandro, per cui nei mesi successivi all’audizione sarebbero scattate le misure cautelari, ma il processo si è arenato, nel 2012, con la prescrizione della totalità delle accuse. Ma anche altri due istituti di credito che Montemurro menziona, ma che non risultano essere finiti al centro di processi simili a quello della Valle del Melandro. Ovvero la «Banca di Ruoti», riconducibile alla famiglia Salinardi, noti imprenditori del posto che spesso hanno ricoperto incarichi politici a livello comunale, e persino la Banca Mediterranea, della famiglia potentina dei Somma.

Nei verbali, ovviamente, non c’è traccia dell’esito degli accertamenti svolti, da cui non devono essere mersi sufficienti elementi di riscontro alle accuse del pentito.
Ma a un certo punto il pm Montemurro non manca di far notare ai parlamentari l’assenza di un numero sufficiente di investigatori per indagare sugli ultimi due istituti di credito.

«Il Gico, che dovrebbe essere la punta di diamante delle nostre investigazioni… – spiega il pm – al di là della composizione numerica che è di dieci elementi, tre, molto validi, stanno lavorando solo sulla banca della Val Melandro mentre gli altri sette sono persone che prima erano, piantoni e che adesso si trovano a fare i marescialli del Gico. Di fatto, quindi, al di là di tre unità, a Potenza il Gico non esiste. In questa fase, a noi servirebbe il potenziamento non canto numerico ma qualitativo della presenza».

OLTRE ALLE INFILTRAZIONI DI ‘NDRANGHETA IN BASILICATA C’È LA QUESTIONE URANIO

Poi c’è il capitolo sull’uranio e le trame di possibili traffici di materiale radioattivo che a lungo hanno avvolto il centro di ricerche dell’Enea di Rotondella.
«Presi dalla questione che ci sta più a cuore, quella del riciclaggio, abbiamo dimenticato di parlarvi di un’altra questione che riteniamo assai importante, quella dell’uranio».

Così Lumia, sul finire dell’audizione, richiama il procuratore di Potenza e il pm Montemurro. Qui però la parte desecretata del verbale si interrompe con un nuovo “omissis”.

Tra i verbali desecretati sul tema c’è solo quello dell’allora governatore Filippo Bubbico, che aveva provato a sgombrare il campo da dubbi e sospetti di ogni tipo.
«Mi sono già occupato della questione Enea-Trisaia perché il procuratore presso la procura di Matera, dottor Pace, ha sviluppato un’azione significativa sul versante delle illegalità e delle saldature criminali con le ecomafie». Queste le parole di Bubbico. «Proprio in relazione al tema dei traffici illeciti dei rifiuti, abbiamo affrontato il tema della Trisaia. Mi pare opportuno ed evidente che io non conosca i risultati delle indagini, ma la mia impressione è che questo sia un tema chiuso: oggi non esistono pericoli, né vedo le condizioni perché il sito di Trisaia possa essere un luogo in cui gestire operazioni illegali».

«Alla presidenza dell’Enea e al Ministero dell’industria, presso il quale abbiamo trovato grande disponibilità – aveva concluso l’allora governatore -, già negli anni passati abbiamo posto la questione dello smaltimento dei rifiuti radioattivi lì presenti, in modo particolare alcuni metri cubi di rifiuti liquidi. Circa le barre di rifiuto radioattivo, abbiamo preso atto dell’esistenza di un problema di collocazione in condizione di sicurezza sul piano nazionale. Mi sento di poter escludere che oggi la Trisaia possa essere oggetto di azioni illegali o punto terminale di operazioni di questa natura».

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