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POTENZA – Sono stati convocati e sentiti come persone informate sui fatti i vigilantes che erano in servizio nella vecchia sede Rai di Potenza il 12 marzo del 2001.
La nuova tornata di interrogatori è stata disposta dai pm Francesco Basentini e Valentina Santoro, che stanno conducendo la nuova inchiesta sul caso del commissario della Digos Anna Esposito, trovata morta nell’appartamento della caserma Zaccagnino di Potenz,a impiccata alla maniglia della porta del bagno.
Le dichiarazioni delle due guardie giurate serviranno a riscontrare la versione fornita agli inquirenti da Luigi Di Lauro, giornalista 48enne di Potenza, che a seguito della riapertura del caso è stato iscritto sul registro degli indagati indagato per omicidio.
Di Lauro, che fino a qualche mese prima aveva convissuto con la poliziotta 35enne, separata e madre di 2 figlie, ha sempre raccontato di essere rientrato in redazione quella sera dopo una trasferta a Matera. Ma già all’epoca i due vigilantes negarono di averlo visto. Solo che in seguito prese il sopravvento l’ipotesi del gesto autolesionista e il fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio è stato archiviato.
Tredici anni dopo gli inquirenti sembrano intenzionati a ripercorrere nel dettaglio tutti gli spostamenti del volto noto del Tgr Basilicata la sera precedente alla scoperta del corpo del giovane commissario della Digos.
Il sospetto infatti è che non si sia trattato di un suicidio anomalo, ma di un omicidio camuffato ad arte “impiccando” il cadavere alla maniglia della porta del bagno nel appartamento di servizio della caserma di viale Lazio. Di qui l’iscrizione dell’ultimo fidanzato della donna con cui i rapporti non si erano interrotti nemmeno dopo la “rottura” della loro relazione.
A chiedere la riapertura del caso a luglio del 2012 era stato il padre di Anna Esposito, depositando in Procura a Potenza una consulenza di parte che sollevava dubbi sulla possibilità che sua figlia si fosse realmente tolta la vita in quel modo.
Alla base venivano evidenziate una serie di circostanze, oltre all’evidente “stranezza” di un gesto di quel tipo: «un’impiccagione atipica e incompleta», in gergo medico legale, in quanto la fibbia non sarebbe stata stretta sulla nuca, ma appena sotto l’orecchio destro, e i colleghi della donna non avrebbero trovato il corpo del tutto sospeso a mezz’aria, data l’esigua altezza della maniglia a cui era “appeso”.
In precedenza lo stesso Enzo Esposito, intervistato da Chi l’ha visto? aveva puntato il dito anche contro gli errori commessi durante le prime ore dai colleghi della figlia, che avrebbero compromesso in maniera irrimediabile le indagini. Errori evidenziati anche dal pm Claudia De Luca nella sua richiesta di archiviazione del 2001.
Così erano emersi i bigliettini di minacce che il commissario avrebbe rivelato al padre di aver trovato sulla sua scrivania, scritti da qualcuno che in Questura l’aveva presa di mira non si capisce bene perché.
Mentre un’altra pista esplorata dagli investigatori negli anni scorsi è stata indicata dalla madre di Anna Esposito che nel 2010 ha denunciato che pochi giorni prima di morire le aveva confidato di aver fatto delle scoperte sul caso Claps: alcuni poliziotti come lei avrebbero saputo che fine aveva fatto Elisa, e dove era stata nascosto il suo cadavere. Quindi i faldoni erano partiti in direzione Salerno, sede un tempo competente per le inchieste che coinvolgevano anche magistrati in servizio nel distretto giudiziario lucano (si veda proprio Claps e Gianfredi), per poi tornare a Potenza a giugno del 2012, dopo che i pm campani ne avevano escluso la sussistenza.
A spiegarlo al Quotidiano della Basilicata era stato Franco Roberti in persona, all’epoca ancora procuratore capo di Salerno poi nominato ai vertici della Direzione nazionale antimafia: «non è emerso alcun collegamento con i delitti Claps e Gianfredi».
Per questo le indagini sono ripartite dall’unica pista che, almeno formalmente, è rimasta inesplorata.

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