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Altre due condanne per il clan Martorano. I potentini Pace e Quaratino dovranno scontare 10 e 8 anni di carcere

POTENZA – Reggono le accuse di mafia ed estorsione aggravata anche nei confronti dei potentini Giovanni Quaratino (72) e Giovambattista Pace (70).

Lo ha deciso, lunedì, il collegio del Tribunale del capoluogo presieduto da Alessandro vecchio, e completato da Claudia Malafronte e Fiorella D’Alessio, accogliendo le richieste di condanna dell’Antimafia lucana nei confronti degli ultimi due imputati ad aver chiesto il rito abbreviato nel processo sui nuovi affari dello storico clan egemone sugli affari criminali di Potenza e dintorni. Entrambi ancora detenuti dopo il blitz di novembre del 2021.

I giudici hanno accolto la richiesta di condanna a 10 anni, già scontati di un terzo per la scelta del rito alternativo, avanzata dal pm Giuseppe Borriello nei confronti di Pace, a cui erano contestati i reati di associazione mafiosa ed estorsione aggravata dall’agevolazione al clan. Hanno rivisto al rialzo da 6 a 8 anni, invece, quella avanzata nei confronti di Quaratino, un tempo titolare di una nota ditta di pompe funebri, che era accusato soltanto di associazione mafiosa, recuperando dalla contestazione l’aggravante collegata alle armi possedute, e utilizzate, dal gruppo.

Le motivazioni della decisione dovrebbero essere depositate nelle prossime settimane. Poi spetterà al difensore di entrambi, Gaetano Basile, valutare se proporre o meno ricorso in Appello. I meccanismi premiali introdotti con la riforma dell’ex ministro della Giustizia Marta Cartabia, infatti, oltre alla possibilità di accedere al rito abbreviato a dibattimento già in corso, come avvenuto in questo caso, prevedono un ulteriore sconto di pena di un sesto in caso di rinuncia all’appello.

A gennaio, nell’ambito del medesimo processo, erano già state condannate, sempre col rito abbreviato e lo sconto di pena di un terzo, altre 8 persone che dovrebbero scontare tra i 5 e i 12 anni abbondanti di reclusione.

Erano stati assolti, invece, l’ex segretario della Uiltucs Basilicata, Rocco Della Luna, dall’accusa di concorso esterno nel clan, e il calabrese Salvatore Romano, genero di Ernesto Grande Aracri, che è il fratello del più noto Nicolino “mano di gomma”, considerato tra i più potenti capi della ‘ndrangheta crotonese.

Sull’inchiesta dell’Antimafia lucana ribattezzata “Lucania felix” restano a dibattimento le accuse ad altre 20 persone, tra i quali i boss Renato Martorano e Dorino Stefanutti, per i quali è stato disposto il giudizio immediato.
E’ stato avviato, inoltre, un distinto processo col rito ordinario a carico di 77 persone: 23 già citati a giudizio con l’immediato per alcune accuse, più 44 imputati a piede libero.

Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, attorno ai due boss Martorano e Stefanutti si sarebbero costituite un’associazione mafiosa e un’ulteriore associazione a delinquere specializzata nel narcotraffico.

Nel mirino degli agenti della sezione anticrimine della Squadra mobile di Potenza sono finite anche una serie di tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso, come quella a un imprenditore del salernitano che avrebbe avuto un debito da 900mila euro col titolare di un bar poco lontano dal Palazzo di giustizia di Potenza. Estorsione condotta da Martorano in persona, appena tornato in libertà dopo quasi 11 anni di carcere duro per estorsione mafiosa, che avrebbe fatto fuoco con una pistola contro la porta d’ingresso dell’abitazione dell’imprenditore, rivendicando il gesto poco dopo, al telefono.
Nelle motivazioni delle prime condanne emesse a gennaio dal gup Teresa Reggio si legge che «la forza del clan, sotto il profilo della capacità di intimidazione», emergerebbe «anche dai rapporti dello stesso con altre realtà criminali certamente connotate da mafiosità». Rapporti riferiti da un testimone di giustizia di eccezione come Natale Stefanutti, figlio del boss Dorino, ma anche da altri collaboratori di giustizia lucani e non.

Il gup si è detto convinto anche dell’esistenza di «un’associazione volta al narcotraffico, quale modalità operativa del clan, costituita da soggetti intranei al sodalizio mafioso, nel cui interesse e sotto il cui costante controllo il narcotraffico viene gestito, nonché da soggetti estranei al sodalizio, ciascuno dei quali avente uno specifico ruolo funzionale al perseguimento di fini criminali comuni».

Al riguardo il giudice ha indicato, quale elemento «sintomatico della stabilità del vincolo», la «capacità del gruppo di proseguire la sua attività anche all’esito di operazioni di sequestro e di arresti che interessano taluno dei sodali».
Tra i filoni esplorati dagli inquirenti c’è anche quello su un presunto trasferimento fraudolento di valori in concorso con i proprietari e gli amministratori della ditta che fino a qualche anno fa gestiva l’appalto delle pulizie per l’ospedale San Carlo di Potenza.

Stando a quanto ricostruito dagli investigatori, infatti, parte delle quote detenute dai titolari della ditta in questione, in realtà, sarebbero state riconducibili a Martorano e soci. Come pure i relativi utili.
Sempre nell’ambito dello stesso filone d’indagine, quindi, i pm contestano un’ipotesi di favoreggiamento aggravato a un dipendente della ditta di pulizie, che avrebbe mentito agli investigatori sulle ragioni per cui era stato minacciato e ferito con un coltello da Stefanutti e altri. Come pure un’ipotesi di estorsione per Stefanutti, legata alle pressioni per l’assunzione “fittizia” della moglie. Un ulteriore filone ha preso di mira invece il presunto monopolio delle videoslot.

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