X
<
>

Il Centro oli di Viggiano

Condividi:
2 minuti per la lettura

«CHI ha inquinato e chi non ha controllato ora deve pagare in nome dell’ambiente e del popolo inquinato».
Così Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha commentato ieri la notizia della condanna di Eni, «il più grande gruppo industriale italiano partecipato dallo Stato», per traffico di rifiuti. Al termine del processo di primo grado, davanti al Tribunale di Potenza, sulla gestione dei reflui delle estrazioni in Basilicata.

Ciafani ha ricordato che Legambiente ha presenziato alle udienze come parte civile costituita, e ha parlato di un verdetto che conferma «quanto la nostra associazione denuncia ormai da tempo in Val D’Agri, in Basilicata, dove negli anni ‘90 è iniziato lo sfruttamento del giacimento on shore più importante d’Europa».

Il territorio lucano, come quello siciliano, prosegue Ciafani, «è stato ferito più volte da una insensata corsa al petrolio che mette a rischio l’ambiente e la salute dei cittadini. Nel 2017 con un nostro esposto penale presentato alla procura di Potenza, abbiamo chiesto di far luce sugli sversamenti di petrolio dal centro oli di Viggiano di Eni, chiedendo l’applicazione della legge sugli ecoreati. Da tale esposto è partita un’inchiesta con l’arresto dell’allora responsabile dell’impianto e un secondo processo penale per disastro ambientale ancora in corso».

«Dopo la condanna arrivata ieri di Eni per traffico illecito dei rifiuti – spiega ancora Ciafani – torniamo ribadire l’urgenza di definire immediatamente in Basilicata una strategia d’uscita dal petrolio puntando ad una riconversione 100% rinnovabile del sistema energetico e procedendo con una dismissione graduale dei pozzi attivi per una transizione verso comparti produttivi moderni e sostenibili. Questa è la vera strada da seguire».
La situazione in Val d’Agri, «dopo venti anni di estrazioni, è peggiorata dal punto di vista socio-economico, ambientale e sanitario» aggiunge il presidente di Legambiente Basilicata, Antonio Lanorte.

«Gli impegni di Eni e degli altri grandi players petroliferi presenti in Basilicata – ha dichiarato ancora Lanorte – non appaiono credibili o quantomeno sufficienti nell’ottica della sicurezza ambientale e sanitaria come non lo sono nella prospettiva di una progressiva ma necessariamente rapida decarbonizzazione dei processi produttivi».

«Le scelte strategiche di questi colossi appaiono ancora tutte proiettate verso l’espansione delle estrazioni di petrolio e gas- conclude il presidente di Legambiente Basilicata -, lasciando le briciole a prospettive alternative in particolar modo su rinnovabili e chimica verde».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE