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Francesco Somma, presidente regionale di Confindustria

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POTENZA – In mezzo al guado. Da un lato c’è ancora l’emergenza, le incertezze, il timore di chiusure più o meno lunghe. Dall’altro c’è la consapevolezza che questa è davvero l’ultima occasione per le imprese del Sud. Perché la crisi racchiude in sé anche i germogli di nuove opportunità e gli imprenditori della Basilicata sanno che questa è l’ultima ancora che verrà lanciata. Quindi è questo il momento per iniziare a costruire il nuovo modello di sviluppo del Sud, rafforzando anche il tessuto delle piccole e medie imprese locali.

«Per la verità – spiega il presidente di Confindustria, Francesco Somma – non ci aspettavamo questa seconda e terza ondata, anche più virulente di quella precedente. E ci preoccupa che, non appena le restrizioni vengono allentate, la curva dei contagi torni a crescere». Ma – è «nella natura degli imprenditori essere ottimisti» – bisogna iniziare a muoversi per il dopo. Intanto, per dare un concreto sostegno alla campagna vaccinale, 65 aziende hanno messo a disposizione gli spazi per un contributo logistico alla somministrazione del siero a dipendenti e loro famiglie. Ma c’è tanto da fare anche sul fronte economico.

Iniziamo dalle misure introdotte dal governo Draghi. Gli aspetti positivi e quelli negativi secondo gli imprenditori.
«Come imprenditori puntiamo molto nella credibilità anche internazionale di Draghi. E in questo momento di profonda incertezza per tutti, avere un premier che dice che nel 2021 lo Stato non dovrà chiedere soldi ma darli per sostenere famiglie e imprese, senza dubbio è uno stimolo anche per noi: dobbiamo ricreare le condizioni per la crescita. Di positivo, nel Decreto sostegni, c’è sicuramente il superamento dei vincoli dei codici Ateco (numero per la classificazione delle attività economiche, ndr.). Una misura positiva perché si è ampliata la platea. Positiva anche la sospensione fino a fine anno dell’obbligo della causale del decreto dignità. E lo dico in particolare per alcuni settori particolarmente colpiti dalla crisi, come il turismo, il settore dei matrimoni e tutto l’indotto. In una fase di normalità è giusto che a lungo termine un contratto a tempo determinato si trasformi in indeterminato. Ma in questa fase per molte aziende, soprattutto in alcuni settori, sarebbe davvero impossibile».

Gli aspetti negativi o comunque da correggere del Decreto Sostegni?
«Uno dei limiti, secondo noi, è aver posto un vincolo di fatturato all’ottenimento degli aiuti. Il Decreto sostegni prevede che le aziende che nel 2019 hanno registrato un fatturato pari o superiore ai 10 milioni di euro non abbiano diritto agli aiuti. Ma ci sono grandi aziende che hanno subito enormi perdite nel 2020 e il limite del fatturato ci pare per questo non giusto. Bisognerebbe ragionare sui costi fissi non sul fatturato, il parametro dovrebbe essere quello».

E tra i costi fissi per voi imprenditori c’è il costo del lavoro immagino. Come valutate il blocco dei licenziamenti, misura prolungata fino al 30 giugno 2021?
«Io credo che il blocco dei licenziamenti sia stato positivo. Ci saremmo trovati in una condizione decisamente peggiore in caso contrario. Ora va evitato lo scontro sociale e va sostenuto per quanto possibile il reddito dei cittadini. Ma proprio perché i costi fissi sono stati resi incomprimibili, poi non puoi usare il fatturato come criterio».

Nello scorso anno, con il governo Conte, alle imprese sono stati concessi dei prestiti con garanzia dello Stato: quella misura invece ha funzionato?
«Anche qui in Basilicata la pandemia ha causato un boom del ricorso ai prestiti. All’inizio in realtà c’è stata un po’ di incertezza, anche perché qualche istituto ha messo degli impropri paletti, in base al merito creditizio. Una cosa assurda in quel momento, perché c’era lo Stato a fare da garante prima di tutto. E poi perché quelle misure avevano l’obiettivo di aiutare proprio chi era in difficoltà. A un anno di distanza sono stati erogati complessivamente 13.843 prestiti, di cui 9.000 nel Potentino e 5.000 nel Materano. Sono numeri importanti se si considera che parliamo di piccole aziende, che sono il perno del nostro sistema produttivo. Ma anche qui chiediamo un intervento, perché il limite temporale previsto è insufficiente».

Ricordiamo che al momento, per i prestiti con la garanzia dello Stato, sono previsti sei anni per la restituzione. Perché dice che vanno allungati i tempi?
«Prima di tutto perché un anno è passato e noi non siamo usciti dalla situazione di emergenza. Quindi un anno sostanzialmente è andato perso. Poi perché le imprese devono essere messe nelle condizioni di riattivare la ripresa. E perché questo avvenga servirà del tempo. Per questo noi chiediamo di estendere i tempi per la restituzione dei prestiti a 15 anni, sei non sono sufficienti».

Voi imprenditori cosa immaginate accadrà nei prossimi mesi? Quando pensate si potrà ricominciare a immaginare una ripresa?
«Noi imprenditori dobbiamo essere ottimisti per forza di cose, è nella nostra natura. Ma pensiamo che da giugno in poi, con un’accelerata sulla campagna vaccinale, si possa iniziare a intravedere una luce. Ora molte imprese hanno liquidità sui conti, un po’ come è accaduto per le famiglie anche le imprese hanno fatto risparmio. Ma, nel caso degli imprenditori, questa non è una cosa positiva, perché significa che non si sono fatti investimenti. Del resto chi li farebbe in una situazione come questa, con l’incertezza sul domani e la possibilità di si ricominci a chiudere tutto. Ma nel momento in cui la situazione si farà più chiara, gli investimenti rimandati si faranno. Ma servono investimenti pubblici, che permettano alle persone di lavorare. Così la domanda tornerà a crescere e anche l’imprenditore privato tornerà a investire. Sono i principi base dell’economia: domanda, offerta e velocità con cui girano le risorse. Se il pubblico torna ad aprire i cantieri e riparte il settore edile – nessun altro settore riesce a generare crescita come l’edilizia – allora si metteranno le basi per la crescita. E per il Welfare, perché senza sviluppo diventa difficile continuare a sostenere anche lo Stato sociale».

Lei ha parlato di “ultima possibilità” per le aziende della nostra regione. I fondi che arriveranno ora bisognerà essere però in grado di spenderli tutti e bene. In passato non è sempre stato così e, come denunciato spesso da voi imprenditori, anche per una inefficienza della pubblica amministrazione. Crede che ora le cose siano cambiate?
«La riforma della pubblica amministrazione è ormai una certezza, un tema all’ordine del giorno. Proprio in questi giorni i ministri Carfagna e Brunetta hanno annunciato concorsi per l’assunzione di 2.800 tecnici nelle amministrazioni pubbliche del Sud. E il dato positivo è che non si tratta di un annuncio a lungo termine: nei prossimi 100 giorni. Ciò significa che in Basilicata arriveranno 119 nuove assunzioni di personale specializzato. E questo è importante perché in passato i soldi li abbiamo fatti tornare indietro per incapacità. Questa è l’ultima occasione e non possiamo permetterci di sbagliare. Siamo cautamente fiduciosi. Diciamo che abbiamo l’ottimismo del cuore ma anche della ragione».

Diciamo che la pubblica amministrazione deve migliorare in efficienza sotto ogni punto di vista. Negli ultimi mesi abbiamo raccolto la disperazione di molti imprenditori che vantano crediti enormi nei confronti della pubblica amministrazione. Uno Stato che non sembra molto amico.
«E questo è verissimo. In Basilicata, tra l’altro, ci sono i dati peggiori. In quanto a tempi di pagamento, secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, la Basilicata è maglia nera. Certo va detto che negli ultimi tempi sono stati fatti degli sforzi enormi per migliorare: sono stati recuperati 40 giorni di ritardo. Ma questo significa che partivamo da 70 giorni. C’è una tendenza al miglioramento ma certamente non possiamo essere soddisfatti. Anche perché basterebbe utilizzare strumenti esistenti, come la razionalizzazione dei debiti commerciali. Si potrebbero usare delle piattaforme digitali in comune tra le amministrazioni. Si potrebbe evitare di perdere ulteriori mesi passando le stesse carte da un’amministrazione all’altra. Serve semplificare, snellire, sburocratizzare: senza una struttura più forte e performante diventa difficile utilizzare anche i nuovi fondi».

Cosa dovrebbe lasciare al tessuto produttivo locale l’imponente mole di finanziamenti che potrebbe arrivare? Cosa si può immaginare accadrà da qui a qualche anno?
«Noi abbiamo un tessuto produttivo fatto da tante piccole e medie imprese. Ma molte, che spesso sono a conduzione familiare, hanno una patrimonialità molto bassa, ciò che rende molto difficile spesso l’accesso al credito. E questo è stato spesso il limite, il cane che si morde la coda: per rafforzare l’azienda serve credito ma il credito si concede a chi ha le spalle solide. Ecco, da questa crisi dovremmo uscire rafforzando il nostro fragile tessuto produttivo. Penso a degli incentivi fiscali, ai crediti di imposta a strumenti come i Pir (piani individuali di risparmio) che, al momento, non arrivano a sostenere le piccole imprese. Per consentire il ritorno alla normalità ci vogliono banche che sostengano, che accordino nuove moratorie di pagamento e senza l’obbligo di classificazione del debitore. Dobbiamo renderci conto che noi non torneremo alla vecchia normalità, quindi servono nuovi strumenti».

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