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I rilievi dei carabinieri sul luogo dell’agguato a Policoro, in via Tristano, il 22 settembre 2017

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POTENZA – Dovrà finire di scontare una condanna a 5 anni di reclusione per tentato omicidio, e porto abusivo di armi da fuoco, il 36enne di Policoro Francesco Cuppone.

Lo ha deciso la Corte di cassazione che la scorsa settimana ha depositato le motivazioni per cui ha respinto il ricorso del legale di Cuppone contro la sentenza della Corte d’appello di Potenza.

La vicenda è quella dell’agguato del 22 settembre del 2017 in via Tristano, in una zona centrale della cittadina ionica, dove un 33enne originario del Ghana venne gambizzato davanti all’abitazione dove viveva con la compagna.

I giudici hanno confermato l’attendibilità delle dichiarazioni della vittima e della compagna, che subito dopo il fattaccio avevano detto ai carabinieri «di non aver visto chi fosse stato ad esplodere i colpi di arma da fuoco». Ma a distanza di qualche ora si erano lasciati andare a considerazioni varie sull’accaduto senza sapere delle microspie piazzate dagli investigatori in ospedale. Così era emerso che la vittima avrebbe vantato un credito nei confronti del figlio della donna, e che al rifiuto di onorarlo da parte di quest’ultimo avrebbe reagito con la violenza. Di qui la contro replica di Cuppone che si sarebbe armato e gli avrebbe esploso contro 6 colpi di pistola, uno dei quali lo ha raggiunto alla tibia provocandogli «incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per circa 108 giorni, oltre all’indebolimento permanente della deambulazione».

La Cassazione ha evidenziato come «le iniziali “resistenze omertose” dei testi siano state del tutto superate in dibattimento, avendo il – omissis- finito per ammettere di aver visto il Cuppone esplodergli contro vari colpi di arma da fuoco, mentre la – omissis – ha confermato, sia la presenza dell’imputato sotto la propria abitazione, che le minacce ricevute dall’imputato, il quale pretendeva di far scendere immediatamente in strada il convivente».

I giudici hanno preso anche atto della circostanza per cui «subito dopo i fatti, l’imputato si rendeva irreperibile per vari mesi fino al suo rintraccio da parte della polizia giudiziaria, rendendo impraticabile la prova dello stub». Vale a dire l’esame sulla presenza di tracce di polvere da sparo sugli abiti.

Nel complesso, tuttavia, ne hanno escluso la necessità, parlando di un accertamento tecnico «reso superfluo sulla base delle intercettazioni ambientali svolte che danno conto del fatto, come già evidenziato, che la parte offesa, appena scesa in strada si vedeva esplodere al suo indirizzo dal Cuppone vari colpi di arma da fuoco da un’autovettura in movimento». Come pure è stata considerata «irrilevante» la deposizione della fidanzata del 36enne policorese, «secondo cui la sera dei fatti il Cuppone non si trovava in loco, bensì a Scanzano».

Sull’agguato di via Tristano le indagini sarebbero proseguite anche dopo l’arresto di Cuppone, a gennaio del 2018. A febbraio del 2019, quindi, è scattato l’arresto anche di uno dei presunti complici del 36enne, il 23enne di origini polacche Mateusz Jakub Wilk, indagato – sempre con Cuppone – anche per associazione a delinquere di stampo mafioso nel clan degli scanzanesi guidato dall’ex carabiniere Gerardo Schettino.

In seguito Wilk ha anche avviato una collaborazione con la giustizia ed è stato condannato a 6 anni di reclusione col rito abbreviato per le accuse che gli venivano mosse. Le sue dichiarazioni, però, non sono mai entrate nel processo a carico di Cuppone per la sparatoria di via Tristano.

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