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POMARICO (MATERA) – CORSO Vittorio Emanuele si stava sgretolando. Siamo di nuovo, come oggi, in un primo freddo pomeriggio del 29 gennaio 2019. Mentre la forza della caduta carica di rumori, si stava portando nel fosso abitazioni e garage ancora carichi di oggetti e ricordi, mia madre correva in un punto più alto; il suo intento era vedere la nostra casa in bilico, a mezza strada fra la base del centro storico e il suo collo in forma di rione Castello, Invocava il santo protettore del paese, perché salvasse almeno quella rappresentazione dei sacrifici di una vita.

La sua casa restò in piedi, ma solo fino a quando si decise che le costruzioni resistenti di largo San Rocco, dovevano comunque essere abbattute per procedere con l’avanzamento dei lavori, che ancora oggi non è drammaticamente arrivato. Tutto fermo, tra promesse politiche e burocrazia pachidermica.

Dopo che la frana aveva già sbriciolato la vecchia casa dei nostri nonni, dei suoi genitori. Seppellendo altre testimonianze di vita e qualche più giovane ricordo appartenente, per esempio, ai miei genitori come a mio fratello. Quando un amico mi aveva chiamato per andare a stare vicino a mia madre, vederla con gli occhi spaventati dal movimento franoso e da tutti i cedimenti circostanti, erano passati appena quattro giorni dalla prima avvisaglia. Il 25 gennaio, infatti, una voragine già incisa fra corso Vittorio Emanuele, rampa San Rocco e via Spartivento era diventata gigante.

Quella, d’altronde, che soprattutto su queste colonne avevamo visto crescere. Denunciando dall’inizio, se davvero quello che è stato l’inizio. Ma bene sappiamo oramai che così non è. Sul finire lentamente del lungo 2021, è da poco terminata la prima fase, il primo step è detto nel racconto dell’opera di ripristino della realtà, quella che prevedeva la rimozione delle macerie.

Dopo tanta attesa, e ancora promesse non mantenute. Perfino alla scadenza di più rinvii dalla partenza dei lavori. Infatti, i più critici e parte della comunità pomaricana parlano di una burocrazia irrispettosa delle esigenze della popolazione. Qualcuno dice che i tempi sono troppo lunghi; che a tre anni dall’accadimento ancora siamo agli esordi, all’anno zero. Senza dimenticare che, durante i più recenti ulteriori problemi, segnalati specialmente da un gruppo di cittadini più attenti, l’indiziato numero uno resta la società Acquedotto lucano. Infatti, sotto corso Vittorio Emanuele fu rintracciata una bolla d’acqua sulla cui natura ancora si tace.

A tre anni di distanza dal rilevamento. Operazione compiuta proprio nelle giornate intercorrenti il 25 e il 29 gennaio 2019, da tecnici incaricati di Al, che agirono sotto gli occhi di dipendenti comunali e persino di vigili del fuoco, con rappresentati delle forze dell’ordine.

«Siamo soddisfatti di quanto abbiamo fatto fino ad ora. –ha commentato il sindaco di Pomarico, Francesco Mancini, raggiunto telefonicamente e incalzato sulla questione dei gravi ritardi- Partendo dal fatto certo che il Comune ha ottenuto quasi 13 milioni complessivi per intervenire su questo problema; dobbiamo stare anche attenti ad agire per il futuro, ragionando concretamente sulle prospettive, ovvero cercando di trasformare un episodio negativo in una possibilità di riscatto per la nostra comunità».

Però si potrebbe facilmente ricordare come il 27 gennaio 2019, fra la prima allerta che portò agli sgomberi immediati di Mancini e i cedimenti, l’allora “Comitato difesa e valorizzazione del centro storico di Pomarico” chiedeva urgenti provvedimenti su fatti imputabili sia al dissesto idrogeologico, che allo stato di fatiscenza della rete idrico/fognaria. Fino ad allora tanto altro su queste colonne era stato segnalato. Senza dimenticare l’abitudine al disboscamento e a un certo tipo di lavori sul terreno.

Mentre quotidianamente i sondaggi e i sopralluoghi vari continuavano, la situazione pareva proprio peggiorare. Minuto dopo minuto si verificava come per esempio uno degli immobili sgomberati di rampa San Rocco, proprio per un ulteriore movimento del sottosuolo, stava subendo la rottura di una delle tubature dell’acqua, con crepe nei muri che aumentavano di spessore. Strutture già peraltro sgomberate nel 2013.

La più stringente attualità ricorda comunque che a dicembre scorso, è stato annunciato l’ultimo stanziamento economico sulla frana di Pomarico. Mentre erano in completamento i lavori di rimozione macerie e prima messa in sicurezza della zona rossa; operazione durata un mese più del previsto (dopo un avvio già molto tardivo), in quanto alcune grotte erano da mettere in sicurezza intanto riempiendole con materiale leggero, e poi arrivando a tapparle.

Mentre gli uffici tecnici incaricati stanno chiudendo la realizzazione del progetto definitivo per la messa in sicurezza della post-gestione, con Avviso di gara che dovrebbe essere bandito proprio in questi giorni. Sono stati riconosciuti finalmente i fondi a coloro che hanno ceduto terreni di proprietà, prima dei tanti abbattimenti serviti per i lavori. In attesa, la più lunga di tutte in assoluto, che si capisca quando, in che tempi e come gli sgomberati che avranno scelto di comperare una nuova casa, potranno ricevere i contributi loro promessi.

Anzi, le tribolazioni e le traversie vere, le rintracciamo nell’assegnazione dei contributi per l’autonoma-sistemazione. Ovvero le somme che sono corrisposte dal pubblico agli sgomberati, che adesso pagano fitti privati. L’ultimo bonifico risale a luglio 2021. I singoli e le famiglie beneficiarie del sostegno, attendono ancora di vedere gli euro per i mesi di luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre 2021. Il punto è che, a parte quando il Comune riesce ad anticipare con i propri fondi, che per puntare a un sostegno vero ed efficace per l’autonoma sistemazione, sarà necessario che tramite il dipartimento Infrastrutture della Regione Basilicata e l’assessore alle Infrastrutture, Donatella Merra, il sostegno venga formalizzato con una delibera di giunta specifica e da indirizzo politico, si trasformi in bonifici riscuotibili.

Poi ci sono le bollette, quelle per le utenze delle case che non ci sono più, ma che continuano imperterrite ad arrivare ai proprietari del nulla. Anche su questo non si è potuto fare granché, restando nel limbo dell’inerzia amministrativa. Insomma, i temi aperti dal vuoto di gennaio 2019 sono tanti. Ma quel buco nuovo pare avere ingurgitato troppo.

Magari quando si arriverà alla riapertura del tratto viario, con il taglio del nastro, si potrebbe togliere il panno pure su altro. Andare sempre più in fondo. Senza il timore di arrivare nelle viscere dei calanchi. Perché un approdo alla rinascita di quest’area, non a caso ricordata come “la frana”, non si potrà realizzare davvero, se non si riconosceranno tutti gli errori e ogni mancanza divenuti improvvisamente tragedia.

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