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Ci manteniamo nel filone del vituperio civile. Cioè del ragionamento critico che sa farsi carico dei torti ma anche delle ragioni. Con finalità costruttive ovviamente. Finora abbiamo raccontato la politica degli inganni e dei sortilegi.

Ma è meglio non illudersi. Non c’è solo la politica con le sue diserzioni ma anche con le sommerse potenzialità di riscatto. C’è la società che definiamo civile, una endiadi forse eccessiva. La politica è la lingua madre di una società, il suo codice identificativo. Mai vista una politica che non rappresentasse il valore di una comunità! Più elevato il valore, più virtuosa la politica. Non è né certo la simmetria ma la naturale corrispondenza. Scrivo a chiusura di una Festa iscritta nella grande storia di Matera. La Festa della Bruna del due di luglio, evento carico di schietta religiosità popolare e di intrepide incursioni laiche che ogni anno replicano l’assalto liberatorio al Carro che riporta la Madonna in Cattedrale.

Il carro è una risorsa simbolica di grande effetto, uno strumento di locomozione e insieme teatro della ordalia distruttiva che ne conclude l’itinerario. Ogni anno viene ricostruito nella rappresentazione che i preziosi artigiani materano della cartapesta sanno tradurre dai richiami evangelici e dalle infinite suggestioni che vengono dalla vita sociale.

Quest’anno il carro splendeva di un eccellente cromatismo, un tripudio di colori che evocava, dopo la pandemia e a ridosso degli orrori della guerra, la domanda della risalita ad una nuova normalità e alla speranza.

Le lodi purtroppo si fermano qui. Sarebbero inconferibili con il registro anarchico di una Festa che pure è fra le più antiche. Un evento che è apparso privo di autentica regia, finanche tormentato dalle polemiche sul ruolo reclamato dai Cavalieri della Bruna. Un Ordine cavalleresco che non oso immaginare ordisse un colpo di stato. Aggiungiamoci le legittima cautele sanitarie e le efficaci cure dedicate all’ordine pubblico e avremo la fotografia di uno stato di eccezione, quanto mai lontano dalle attese di una grande Festa popolare.

Una città ch’è stata Capitale Europea della Cultura avrebbe dovuto predisporsi alla difesa identitarie di una manifestazione che solo una filologia accurata potrebbe conservare nei suoi caratteri originari. Operazione che pretende una speciale attenzione e un coerente coordinamento fra le potenze abilitate a gestirla: la Curia e la Comunità nelle rispettive sensibilità, rappresentanze e competenze.

La Festa della Bruna è iscritta nei tratti essenziali di un radicato sentimento popolare. È tradizione devozionale e storia civile. Andava perciò preservata da adulterazioni e perciò affidata ad una regia che si occupasse sia della Festa che della intera filiera di grandi e medi eventi che sembrano finora uscire fortuitamente dal sacco di un prestigiatore. La verità è che la città delle meraviglie è ormai precipitata nei tristi gironi dell’anarchia e del pressappochismo.

Uno sguardo a questa Matera di luglio regala la vista di una teoria infinita di baracche quasi l’assedio della ordinaris precarietà alle residue certezze di un destino che pareva imperiale. Un esito fatale per la mancanza del legame e della cooperazione istituzionale, plasticamente testimoniato nel corteo di Autorità che seguiva il Carro. Una convivenza pedonale tutt’altro che ispirata e solidale. Non è stato un bel vedere. Così il due di luglio se n’è andato! Lasciandoci a bilanci tutti da valutare. Senza allegria!

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