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Incontro organizzato da Libera sulla morte della ragazza potentina: «Tante le le circostanze da chiarire e le responsabilità da accertare»

POTENZA – La famiglia non si arrende. Non è ancora soddisfatta di quella che, secondo loro, è una parziale verità. Per la famiglia, dunque, il caso di Elisa Claps non è ancora chiuso.
Una cosa però è certa. Ad ucciderla, secondo i giudici di Salerno, è stata la mano di Danilo Restivo. Da quel 12 settembre del 1993, giorno della scomparsa della ragazza e della sua probabile morte, sono passati oramai 23 anni. La famiglia, insieme alle associazioni “Libera” e “Penelope”, ricorderà la storia umana di Elisa ma anche quella giudiziaria, in un incontro che si svolgerà a Montemurro alle 19 nella sala convegni di San Domenico.
«Ci sono voluti 17 anni e la tenacia di una famiglia determinata per scoprire la verità sulla sorte della ragazza e vedere assicurato alla giustizia il suo assassino – è spiegato in una nota di Libera – Ma tante sono ancora le circostanze da chiarire e le responsabilità da accertare, non solo sulle complicità, che hanno impedito per 17 anni che una evidente verità venisse fuori, ma anche sulle modalità del ritrovamento».
Complicità e modalità del ritrovamento sono ancora i punti da chiarire in questa intricata vicenda. Se sui primi c’è un alone di mistero difficile da penetrare, sul ritrovamento la giustizia sta facendo il suo corso.
E a essere state condannate in primo grado a otto mesi (pena sospesa) sono state le donne delle pulizie responsabili, secondo il giudice, di false dichiarazioni al pubblico ministero. Il loro avvocato ha già presentato il ricorso in appello e si è ancora in attesa delle motivazioni della sentenza. Le indagini sul ritrovamento partirono a pochi giorni dalla scoperta del corpo il 17 marzo del 2010. Oltre alle donne delle pulizie risultano coinvolti anche l’arcivescovo di allora di Potenza, Agostino Superbo e il viceparroco della Santissima Trinità don Wagno de Oliveira.
Alla fine delle indagini, la Procura di Salerno, ritenendo che i due uomini di chiesa avessero detto il vero, rinviano a giudizio solo le due donne delle pulizie. L’otto giugno del 2012, la famiglia Claps presenta un memoriale alla procura di Salerno. Secondo la loro ricostruzione in molti (15 in tutto tra cui anche l’arcivescovo e il viceparroco ndr) è scritto nella denuncia: «hanno fornito false informazioni al pm. Anche per i tanti silenzi, il martoriato corpo di Elisa è rimasto per 17 anni sul pavimento squallido del sottotetto della chiesa più in vista di Potenza».
Il dito era puntato principalmente sul prelato e sul sacerdote e soprattutto sull’equivoco del “cranio” e “ucraino”. Per la famiglia, in pratica, il ritrovamento del 10 marzo era stata una messinscena. Il corpo della ragazza sarebbe stato fatto ritrovare con la scusa di alcuni lavori da fare per delle infiltrazioni. Nonostante una nuova indagine durata quasi tre anni la posizione dei 15 indagati viene archiviata alla fine dello scorso anno.
Per Superbo e don Wagno, sul particolare del “cranio” e “ucraino”, il sostituto procuratore Rosa Volpe nella sua richiesta di archiviazione al gip del 29 aprile 2015 scrive che: «tale equivoco, per quanto assunto in atti e diversamente da come riporta la difesa della memoria, non risale a due mesi prima della scoperta formale dei resti di Elisa Claps, bensì proprio alle ore successive a tale rinvenimento» e aggiunge che: «l’equivoco in cui sarebbe caduto il prelato non era riferibile alla telefonata ricevuta in epoca riconducibile al gennaio/febbraio 2015 (…) bensì al giorno 18 marzo 2010 (il giovedì successivo alla scoperta dei resti di Elisa Claps)». E conclude che: «non si ravvisano nella condotta dei predetti (l’arcivescovo e il sacerdote ndr) elementi probatori per ritenere fondata l’ipotesi di false dichiarazioni al pm».
Nonostante tutto, la famiglia continua a chiedere la verità. All’incontro di questa sera oltre alla presenza del fratello di Elisa Claps, Gildo, parteciperà anche don Marcello Cozzi della segreteria nazionale di Libera.

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