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POTENZA – Non uno ma una serie di dialoghi intercettati dagli investigatori dell’Antimafia, ascoltando le telefonate del presunto boss di Melfi, Lorenzo Delli Gatti, dai quali sarebbe emersa la disponibilità a ritirare l’offerta per l’acquisto di alcuni terreni se avesse ostacolato la loro assegnazione all’amico dell’amico. E non già ad asta  chiusa, bensì una settimana dopo la presentazione delle offerte economiche, vale a dire un mese e mezzo prima dell’apertura delle stesse, seguita dall’aggiudicazione provvisoria.

Sono questi gli elementi per cui nell’estate del 2020 i pm della Direzione distrettuale antimafia lucana, guidati dal procuratore Francesco Curcio, hanno iscritto sul registro degli indagati Donato Macchia: editore, imprenditore molto attivo nel settore delle energie rinnovabili, e, da meno due mesi, presidente della squadra di serie C del Potenza calcio.  

La notizia dell’accusa rivolta a Macchia dagli inquirenti, ha destato sconcerto, e non poteva essere altrimenti, tra i tanti appassionati della squadra rossoblu. Come pure tra amici e collaboratori di un uomo che negli anni ha saputo farsi «sistema», accreditandosi, grazie anche ad alcuni di loro, soprattutto in ambienti amministrativi. A poco sono valse, insomma, le considerazioni del gip, Teresa Reggio, che ha concordato con i pm sull’esistenza gravi indizi di colpevolezza per l’ipotesi di turbativa d’asta che gli viene contestata, ma ha escluso la configurabilità dell’aggravante dall’agevolazione al clan Di Muro-Delli Gatti. Quindi  si è dichiarata incompetente a livello territoriale, dal momento che la presunta asta pilotata si è svolta a Roma, e ha negato gli arresti domiciliari che erano stati chiesti, a giugno del 2020, nei  confronti suoi e del patron del Melfi calcio, Lorenzo Navazio, escludendo «ragioni di urgenza idonee a giustificare l’applicazione di una misura cautelare»  al posto dei colleghi della capitale.  

A destare non poca preoccupazione, infatti, non ci sono soltanto le valutazioni che i pm romani saranno chiamati a effettuare sul caso. Anche a proposito della loro effettiva competenza territoriale, dal momento che la gara si è svolta, sì, a Roma, come evidenziato dal gip, ma un’eventuale accordo per la sua turbativa dovrebbe essersi consumato a Melfi. Mentre le offerte inviate in modalità telematiche sarebbero partite dai computer delle società interessate, a Potenza e Melfi.

Stando a quanto emerge dall’ordinanza che venerdì scorso ha portato all’arresto di Delli Gatti e altre 13 persone, in particolare, il rapporto tra il boss e l’imprenditore non si sarebbe esaurito con l’asta per quei 47 ettari di terreno finiti a Vincenza Navazio, sorella di Lorenzo e attuale consigliera di maggioranza del Comune di Melfi. Ma nei giorni successivi Macchia avrebbe assunto il presunto boss, come «“gestore dei terreni” e “custode” delle porzioni fondiarie interessate dalla realizzazione del parco energetico», dietro il corrispettivo di «mille euro» al mese. Inoltre avrebbero programmato, assieme, altre operazioni per l’acquisto di terreni idonei all’installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, con cui Delli Gatti contava di riuscire a raggiungere un reddito di «tre, quattrocento carte all’anno», lasciare la raccolta della paglia, e andare a vivere «alle Canarie». Si tratta di elementi, sui  quali è ormai caduto il segreto istruttorio, e che adesso verranno quasi certamente vagliati anche dalla Prefettura di Potenza rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose nelle attività del patron rossoblu, con quanto ne potrebbe conseguire, malauguratamente, a livello di interdittive e capacità di contrarre con la pubblica amministrazione.

Un procedimento distinto da quello penale, che, in astratto, potrebbe avere conseguenze persino peggiori, se si considerano i rapporti col Comune di Potenza per la gestione dello stadio Viviani, e quelli col Gestore dei servizi energetici per la cessione dell’elettricità prodotta da pale e pannelli, che è poi la fonte principale delle recenti fortune di Macchia. A pesare  in questa valutazione, in senso favorevole a Macchia, sarà senz’altro lo status di incensurato di Delli Gatti, all’epoca dei dialoghi intercettati con l’editore-imprenditore, ovvero a luglio del 2020. Ma non potranno essere trascurati anche altri dati di rilievo, come l’antica fama del clan Di Muro-Delli Gatti di Melfi, che ha raggiunto il suo apice nel 2002 con l’omicidio a colpi di Kalashnikov del presunto boss Rocco Delli Gatti, zio di Lorenzo. Una cosa che in Basilicata non si vedeva dai tempi della faida di Montescaglioso, negli anni ‘90. Poi ci sono gli arresti spiccati nei confronti di Lorenzo Delli Gatti, a luglio 2018, per la contesa ingaggiata con un concorrente nell’affare della raccolta della paglia, e a settembre 2019 per un’ipotesi di estorsione e illecita concorrenza su cui pure il gip non aveva ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso. Anche se in conferenza stampa il procuratore Curcio non era andato per il sottile e aveva parlato apertamente di «economia mafiosa», annunciando un appello al Tribunale del riesame per il riconoscimento della mafiosità delle condotte.    

«Era davanti a me, ti ho detto noi siamo tutti i giorni insieme, quasi… » Così Lorenzo Delli Gatti, meno di un anno dopo il suo ultimo arresto, avrebbe spiegato a Lorenzo Navazio il rapporto instaurato con Macchia, compiacendosi che all’apertura delle buste con le offerte dell’asta incriminata quella del patron rossoblu fosse dell’esatto ammontare che era stato rivelato, un mese e mezzo prima, da Macchia a Delli Gatti, e da questi riferito a Navazio. Gli inquirenti avrebbero registrato  pure la telefonata in cui questo dato è stato trasferito, sei giorni dopo l’invio dell’offerta economica.  

«Sto qua con quello che si è fatto anche lui l’offerta, però vuole sapere, sennò si tira indietro». Queste le parole con cui il presunto boss conferma la disponibilità di Macchia a farsi da parte per favorire Navazio se la sua offerta avesse creato problemi rispetto all’esito desiderato dell’asta. Parole seguite da un breve scambio di battute «fuori cornetta» tra Macchia e Delli Gatti e l’indicazione di un numero «624», che poi si sarebbe rivelato la prima parte dell’offerta da «624.150 euro»  presentata dal patron rossoblu. «Ce la facciamo allora?» Chiede, pertanto, Delli Gatti  a Navazio, che gli risponde convinto: «sì, ed era bassa quella». Al che anche Macchia si sarebbe lasciato andare a un’espressione di soddisfazione: «Ah! E’ buono! A posto, sono contento proprio». Il giorno dell’apertura delle buste, l’8 settembre del 2020, Delli Gatti avrebbe commentato l’esito dell’asta anche con altre persone a cui avrebbe riferito di aver battuto l’offerta di un suo storico rivale, arrivato «quarto», tra i vari offerenti, dietro: Vincenza Navazio, con cui il boss aveva già raggiunto un accordo per la gestione dei terreni in questioni, una società di Altamura, e Macchia. Di qui la curiosità del suo interlocutore: «Non è che eravate solo tu e lui, hanno risposto pure gli altri?» Al che Delli Gatti si sarebbe lasciato andare, forse perché preso dall’entusiasmo. «No, pure gli altri… e vabbè, gli altri sono amici».

Questa mattina il 40enne melfitano dovrebbe comparire davanti al gip Reggio per l’interrogatorio di garanzia assieme ai restanti destinatari dell’ordinanza di custodia  in carcere eseguita venerdi: il fratello Antonino; Angelo, Vincenzo, Umberto e Andrea Di Muro; Antonio Ferrieri; Donato Fuschetto; Francesco Fischietto; e Francesco Carnicella. Tutti accusati, tra l’altro, di associazione a delinquere di stampo mafioso.

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