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Lorenzo Delli Gatti

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POTENZA – Più che un boss Lorenzo Delli Gatti sarebbe potuto essere al massimo un “picciotto” del clan. È questa la tesi sposata dal Tribunale del riesame che ieri ha depositato le sue decisioni sui ricorsi presentati dai destinatari dell’ordinanza di misure cautelari (11 di custodia in carcere più 3 di arresti domiciliari e 2 obblighi di firma) eseguita il 1 luglio nell’ambito dell’ultima inchiesta dell’Antimafia lucana clan Di Muro-Delli Gatti di Melfi.

Il collegio presieduto da Federico Sergi ha disposto il passaggio dal carcere agli arresti domiciliari per Lorenzo Delli Gatti, che è la figura centrale di tutta l’inchiesta, e il fratello Antonino, difesi dagli avvocati Giuseppe Colucci e Mariano Scapicchio. Resta ai domiciliari anche il padre Michele Delli Gatti, difeso da Michele Mastromartino.

Confermata, poi, la custodia cautelare in carcere per Vincenzo e Angelo Di Muro, già detenuti per altro e difesi da Colucci e Gerardo Di Ciommo, e Francesco Fischietto castagne di Dino Di Ciommo. Per tutti gli altri indagati, invece, è stato disposto il ritorno in libertà. Inclusi i figli di Angelo di Muro, Andrea e Umberto Di Muro, assistiti da Colucci e Di Ciommo; Donato Fuschetto e Donato Prota, difesi sempre da Colucci, Marino Sciaraffa difeso da Enzo Falotico, Francesco Carnicella difeso da Luigi Spera e Antonio Ferrieri, difeso da Gervasio Cicoria.

Le motivazioni del Riesame verranno depositate nelle prossime settimane. Ma è evidente il ridimensionamento del quadro indiziario. Un aspetto, quest’ultimo, particolarmente rilevante anche per la definizione di alcune vicende collaterali rimaste ai margini dell’ordinanza cautelare. In particolare la presunta turbativa dell’asta per l’acquisto di alcuni terreni dell’ Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare-Banca Nazionale delle terre agricole (Ismea).

Una vicenda risalente all’estate del 2020 per cui gli inquirenti hanno iscritto sul registro degli indagati per turbativa d’asta aggravata dal metodo mafioso, Lorenzo Delli Gatti, un suo parente, Maurizio Savino, e tre insospettabili. Vala dire: l’imprenditore-editore Donato Macchia, molto attivo nel settore delle energie rinnovabili, e da poco presidente della squadra di serie C del Potenza calcio; il patron del Melfi calcio, Lorenzo Navazio, e sua sorella, Vincenza, dimessasi dall’incarico di consigliera comunale di Melfi, per ragioni di «opportunità», proprio in seguito alle notizie delle indagini nei suoi confronti.

Per questa presunta turbativa d’asta la procura aveva chiesto gli arresti anche per Lorenzo Navazio e Macchia. E il gip Teresa Reggio aveva pure confermato l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a loro carico, escludendo soltanto l’aggravante mafiosa.

Lo stesso gip, tuttavia, si è dichiarato incompetente a livello territoriale, dal momento che la vendita in questione è avvenuta a Roma. Quindi spetterà ai giudici della capitale valutare il da farsi.

L’inchiesta sul clan Di Muro-Delli Gatti ha preso di mira una serie di episodi avvenuti dal 2013 in poi a Melfi e dintorni. Oltre all’accusa di mafia gli inquirenti ipotizzano anche diverse estorsioni aggravate dal metodo mafioso. Inclusa quella ad alcuni espositori presenti all’edizione 2019 della Sagra della Varola, la tipica castagna dell’area del Vulture, a cui sarebbero state chieste cifre tra i 20 e i 50 euro per contribuire al sostentamento degli affiliati detenuti. Un’altra estorsione, invece, riguarda le forniture di carne per la famiglia di Di Muro, che veniva sottratta dagli scaffali di un supermercato.

Tra gli altri episodi presi di mira dai pm anche il furto messo a segno ad agosto del 2015 ai danni del bancomat delle Poste di Barile, scassinato grazie a una carica di esplosivo e una serie di cessioni di droga.

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