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Antonio Cossidente, l’ex boss potentino sotto protezione da 14 anni

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POTENZA – «Prendetevela con me non con i miei familiari che non hanno altra colpa se non quella di essere parenti di un collaboratore di giustizia»: è uno sfogo quello consegnato al Quotidiano del Sud da Antonio Cossidente, l’ex boss potentino sotto protezione da 14 anni. Dopo la scelta di collaborare con la giustizia. Cossidente ha deciso di rompere il silenzio dopo quanto accaduto lunedì pomeriggio durante il processo “Lucania felix” sui nuovi affari dello storico clan del capoluogo guidato da Dorino Stefanutti e Renato Martorano.

Negli schermi di fronte al collegio presieduto da Rosario Baglioni, infatti, è comparso da un sito riservato il figlio di Stefanutti, Natale, finito a sua volta sotto protezione dopo aver “vuotato il sacco” sul padre, e i suoi amici. Tra le circostanze riferite, quindi, ci sono stati i propositi di vendetta del reggente del clan, Donato Lorusso, per l’omicidio di Pinuccio Gianfredi, a cui lo legava anche un rapporto di parentela, e della moglie Patrizia Santarsiero. Vendetta che sarebbe dovuta abbattersi su Cossidente, condannato in via definitiva per aver messo assieme il gruppo di fuoco che ha trucidato i coniugi ad aprile del 1997, davanti ai loro due figli, nel quartiere residenziale di Parco Aurora, a Potenza. Non direttamente, però, ma colpendo il suo erede, Mario, entrato in contrasto con alcuni esponenti del clan Stefanutti-Martorano, secondo i pm, per questioni di cocaina.

«Mio figlio non ha mai condiviso la mia scelta di collaborare con la giustizia. Non ho rapporti con lui da 14 anni. Se fosse successo qualcosa sarebbe stato un’altra vittima innocente. Basta. Deponete le armi. Rispettate le scelte delle persone come me». Queste le parole del boss pentito, che ha anche lanciato un appello ai più giovani, affascinati dalla leggenda della malavita. Come quelli che sarebbero stati pronti a macchiarsi dell’omicidio di suo figlio. «Non vi fate prendere da falsi miti, da chi vi promette mari e monti. Alla fine non c’è nulla. Soltanto carcere e morte».

Cossidente ha riservato toni ben più duri, invece, a quanti nel capoluogo lucano, forse anche in chiave auto-assolutoria, cercano ancora di cancellare il «lato oscuro» di una piccola comunità di provincia, come quella del capoluogo lucano. Nonostante i morti ammazzati e le sentenze che hanno dimostrato i collegamenti tra il crimine potentino e le più pericolose organizzazioni delle regioni vicine. Come pure coi clan che per un ventennio hanno insanguinato le strade del Vulture melfese. Fatti confermati anche lunedì in aula da Stefanutti junior che ha ricordato quando il padre, dopo gli omicidi nella cittadina federiciana, ordinava a lui e alla sorella di restare in casa. Temendo altre vendette trasversali. «Vorrei essere stato un delinquentuccio come qualcuno mi apostrofa». Così ancora l’ex boss in riferimento ad alcuni articoli apparsi sulle “Cronache lucane” dell’editore potentino Giuseppe Postiglione, coinvolto con lui nell’inchiesta sulla cosiddetta calciopoli rossoblu, e poi prosciolto per prescrizione. «Eppure ancora oggi non vivo, dopo essere stato condannato, a partire dagli anni ‘90, per reati gravissimi: un duplice omicidio aggravato dal metodo mafioso, traffico di droga e armi, estorsioni e persino per minacce aggravate dal metodo mafioso nel processo Potenza calcio. Come esecutore materiale di un reato commesso in concorso proprio con Postiglione».

«Le mie dichiarazioni – ha aggiunto ancora Cossidente – sono state ritenute attendibili da 8 diverse procure: Potenza, Salerno, Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria, Catania e Messina. Sono stato io a sparare a Rocco Corniola nel 1991, che si è salvato. Sono stato io ordinare l’agguato a Michele Danese nel 1996 (ferito al torace e a un braccio, ndr), e l’omicidio di Angelo Di Muro (boss melfitano, ndr), che quel giorno non si presentò dove il mio uomo lo aspettava. Che senso ha dire che tutto questo non esiste? O minimizzarlo?» «Per fortuna non è accaduto nulla». Ripete l’ex boss tornando sulle parole di Stefanutti junior su suo figlio. «Ma si vive sempre con la paura e la tensione. Perché gli esaltati esistono. Anche a Potenza. Checché se ne dica».

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