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Il 1° maggio è dedicato al lavoro (che non c’è). Oltre a pensare ai lavori tradizionali, sarebbe bene pensare anche ai lavori che portano grandi cambiamenti e non soltanto prodotti e benessere. Insieme ai ciabattini, agli spazzacamini e agli accordatori di organi, in Italia i ricercatori sono una specie in via di estinzione. Nelle università e nei centri di ricerca pubblici e privati le assunzioni sono ridotte al lumicino e tanti ragazzi bravi non trovano modo di usare le loro competenze e il loro cervello. Quei pochi che sono testardi e non vogliono capire che nella nostra penisola è meglio fare il ballerino o la cubista, fanno la fame con contratti da precari per molti anni oppure scappano all’estero e lì trovano stipendi dignitosi, organizzazione e, a volte, anche la fama. Nel Mezzogiorno le cose stanno ancora peggio, se questo è possibile, e i cervelli in fuga dal Sud contribuiscono ad impoverire ancora di più un Meridione già a corto di sviluppo e innovazione. Insomma, consumiamo reality e telefonini e svendiamo cultura e intelligenza; il deficit economico e sociale che ne risulta è da tragedia.


Una nazione che fa proclami per la società della conoscenza (compresi i governanti tecnocratici e gli industriali progressisti) e dice di essere tra le più avanzate del pianeta, non sembra comprendere che l’innovazione e la ricerca sono gli elementi essenziali del benessere e, suo malgrado, esporta “sapere” senza avere una contropartita. Se si va avanti di questo passo tra qualche anno avremo un popolo di veline e saltimbanchi, di nani e ballerine, di ilarytotti e Xfactors, di grandifratelli e grandisorelle. Insomma, un paese che diventerà una enorme compagnia di giro che vivrà, o morrà, di fiction, di gossip, di reality e di calcio. Alla faccia dei soldi che spendiamo per formare il genio italico e alla faccia della Festa del lavoro!
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