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Io, per me, amo troppo i luna park. Non per il vorticoso gioco di luci, né per il brivido della discesa ardita, o per la vertigine del panorama rotante. Li amo per l’umanità che ci trovi. L’umanità varia, intendo: fatta da coloro che ci vanno perché quello è l’unica oasi di divertimento nel deserto della loro vita; fatta da coloro che ci vanno per portarci le figlie, le mogli, le amanti (a volte tutte insieme, inconsapevolmente). E tutte tirate a lucido; strette nei loro leggings (perché non li chiamiamo più fuseau o pantacollant? il risultato non è cambiato, ma quel nome era decisamente più tamarro e, per questo, più affascinante) e gli stivaletti scamosciati rosa shocking. Fatta da quelli che ci vanno per evitare di spararsi un colpo alla testa nelle interminabili ore della domenica pomeriggio. E poi ci sono coloro che ci lavorano, naturalmente: che creature mitologiche, i giostrai.  Che repertorio popolare; che cinéma vérité.
Io ci vado per tutto questo, quando l’orto me lo permette.

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