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Uno degli appartamenti all’interno del villaggio Costa del Turchese

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CUTRO (CROTONE) – Forse è il caso di non sottovalutare la gravità delle minacce rivolte al sindaco di Botricello, Simone Puccio, peraltro giornalista del Quotidiano. Non è il caso di sottovalutarle anche per la caratura criminale attribuita dalla Dda di Catanzaro a Pasquale Barberio, l’imprenditore lametino considerato “terminale economico” della potente cosca Grande Aracri di Cutro nel campo del turismo, denunciato dal sindaco e dal dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Botricello.

La vicenda in cui è maturata l’intimidazione ha a che fare, del resto, con un’annosa controversia legata alle opere di urbanizzazione, mai cedute al Comune nonostante una sentenza definitiva del Consiglio di Stato, realizzate all’interno del villaggio turistico “Costa del Turchese” che fu costruito negli anni Ottanta da Barberio.

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I tentacoli del clan cutrese si sono da tempo allungati, infatti, su tutta una serie di strutture ricettive situate lungo una vasta fetta di litorale jonico che comprende le province di Crotone e Catanzaro, e “Costa del Turchese” fu anche sequestrato (e poi dissequestrato) nell’ambito di un’inchiesta antimafia poiché Barberio era considerato un prestanome del capo crimine ergastolano. Non sarebbe da escludere che le indagini, nella primissima fase condotte dai carabinieri della Stazione di Botricello, possano presto passare alla Dda del capoluogo regionale.

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Ma chi è Barberio? Il pentito Salvatore Cortese, ex braccio destro del boss Grande Aracri, definiva Barberio non a caso come la “punta di diamante” della cosca. Accuse confermate di recente in aula, nel corso di un processo che volge alle battute finali tant’è che il pm Antimafia Domenico Guarascio ha chiesto una condanna a dieci anni per Barberio. Il pentito, in particolare, ha rievocato i tempi in cui prendeva forma l’area industriale di Cutro. Là oggi restano, accanto a poche attività che resistono, capannoni di aziende fantasma, scheletri di uno sviluppo mai decollato. Il Contratto d’area di Crotone prevedeva proprio a Cutro gli investimenti più consistenti, e colui che «costruiva tutte le fabbrichette era Barberio, ma prima pagava la ‘ndrangheta e inoltre era un riciclatore».

«Faceva un sacco di viaggi a Roma, Barberio – ha raccontato il collaboratore di giustizia – aveva agganci, sapeva quando arrivavano i soldi per gli stati d’avanzamento, era l’anello di congiunzione col mondo politico e istituzionale e seguì quasi tutti i lavori nell’area industriale. In base a quanto prendevano gli imprenditori ci dovevano pagare e lui era un tipo capace di infiltrarsi, il massimo per la ‘ndrangheta, il cui problema non è la liquidità, perché di soldi è piena, il problema è riciclare e Grande Aracri investiva denari sporchi tramite lui».

Un altro tassello lo ha aggiunto il pentito Giuseppe Liperoti. Sarebbe stato Barberio, insieme a Pino Colacino, morto qualche anno fa ma in passato «affarista della cosca» (come conferma l’impianto del processo Scacco Matto), a concordare con i proprietari il prezzo per l’esproprio dei terreni su cui dovevano sorgere i capannoni industriali. Barberio li costruiva, ma la “regia”, sempre secondo il pentito, era del boss che doveva avere un «margine» (cioè una tangente, i pentiti parlano del 4 e del 5 per cento) dall’esecuzione dei lavori oltre che dall’acquisto dei terreni. «Barberio non era l’imprenditore estorto, era imprenditore per conto della cosca, non andava col fucile nel cantiere, il suo profitto consisteva nell’eseguire i lavori ma doveva consentire un margine alla cosca, era in affari con Grande Aracri, lo accompagnavo io con la mia auto dal boss anche di notte».

Con soldi di Grande Aracri (a dire di quest’ultimo) sarebbe stato realizzato il villaggio turistico Porto Kaleo, a San Leonardo di Cutro, a due passi da Botricello, proprio da Barberio. Tant’è che il boss fu arrestato, quando chiese il conto ai nuovi proprietari del villaggio. Grande Aracri si presentò con una scorta di otto uomini armati fino ai denti, posò su un bancone una scatola nera, un rilevatore di frequenze che inibiva le intercettazioni, e chiese a Carla Rettura, ex compagna di Barberio, la restituzione di un prestito a suo dire investito nella struttura dall’ex gestore che era appunto Barberio. Un milione e mezzo di euro. «Altrimenti il bene non se lo gode nessuno». La donna decise di denunciare. Per quell’episodio, il boss fu alla fine assolto, ma da allora – siamo nel marzo 2013 – non è più uscito dal carcere, collezionando cumuli di pene elevate, anche all’ergastolo, perché è considerato il vertice indiscusso di una nuova “provincia” di ‘ndrangheta con cui è stata ridefinita la geografia mafiosa calabrese.

Oggi Rettura e suo figlio Giovanni Notarianni, amministratore della società Alberghi del Mediterraneo che gestisce Porto Kaleo, sono testimoni di giustizia: hanno denunciato anche il racket ultraventennale a cui era sottoposta la struttura facendo da apripista a tutta una serie di imprenditori turistici che seguendo il loro esempio hanno contribuito a far abrogare la legge del racket che imperversava in una vasta fetta di litorale jonico. «Era un rappresentante di quel mondo criminale che mi voleva morto», ha detto Notarianni di Barberio. Ma il modus operandi sarebbe rimasto quello. «Digli al tuo sindaco che è una cosa fetusa, io non ho più niente da perdere, lo ammazzo, lo sparo», sarebbero state le minacce pronunciate da Barberio, oggi a piede libero, al funzionario comunale al quale si era rivolto perché Puccio non lo riceveva. Le pressioni erano per evitare sanzioni per i bungalow realizzati abusivamente in aree di proprietà del Comune e perfino recintate e Barberio si piazzava negli uffici per bloccare l’iter avviato dal Comune. Su ordine del sindaco, la polizia l’altra mattina è andata a spezzare catene e catenacci.

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