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Un momento dell'operazione

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COSENZA – Uomini sfruttati, impiegati nei campi per pochi euro e costretti a vivere in condizioni disumane, ma anche matrimoni fittizi per favorire l’immigrazione irregolare. Sono due le organizzazioni sgominate dalla Guardia di Finanza con l’operazione “Demetra”. Nel corso di questa notte, oltre 300 finanzieri del comando provinciale di Cosenza, con l’ausilio di militari dei reparti di Catanzaro e Crotone, hanno dato esecuzione, tra le province di Cosenza e Matera, a un’ordinanza di applicazione di misura cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Castrovillari, Luca Colitta, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica, Flavio Serracchiani, a carico di 60 persone, indagate per associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Drammatiche le intercettazioni telefoniche, dove i migranti venivano continuamente definiti «scimmie» (LEGGI LE INTERCETTAZIONI).

Il video dell’operazione

L’imponente attività della Guardia di Finanza ha condotto all’applicazione di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 38 ordinanze di arresti domiciliari e 8 ordinanze con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le Fiamme Gialle cosentine hanno anche proceduto al sequestro preventivo di 14 aziende agricole, di cui 12 ubicate in provincia di Matera e 2 in provincia di Cosenza, per un valore stimato di quasi 8 milioni di euro, e di 20 automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti agricoli reclutati. L’indagine è scaturita dal controllo, effettuato dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano, di un furgone che, diretto nelle campagne lucane, percorreva la statale 106 Jonica con a bordo 7 braccianti agricoli provenienti dalla sibaritide.

Le indagini hanno portato subito all’identificazione di numerose persone, italiane e stranieri in particolare, di nazionalità pakistana, magrebina e dell’Est Europa, impegnati in un’organizzata e fiorente attività di sfruttamento illecito di manodopera bracciantile e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella piana di Sibari. Le investigazioni, durate più di un anno, hanno visto le Fiamme Gialle di Montegiordano impegnate in un’intensa attività di intercettazione, in numerosi e servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni Gps, sequestri, acquisizioni di documenti. Ne è emerso un quadro indiziario grave relative a condotte di sfruttamento ed utilizzazione illecita di manodopera, spesso reclutata anche attingendo dai centri di accoglienza locali, nonché di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Oltre 200 i braccianti reclutati e condotti sui campi in condizioni di sfruttamento, costretti a lavorare in assenza di dispositivi di protezione individuale, impiegati in turni di lavoro usuranti e costretti ad accettare condizioni di lavoro degradanti e non conformi alle prescrizioni giuslavoristiche vigenti nel settore.

Il video con le intercettazioni

Delle due associazioni criminali smantellate dalla Guardia di Finanza ed operanti tra la Calabria e la Basilicata, la prima, a cui appartenevano, a vario titolo, 47 persone, era impegnata in una fiorente attività d’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Al vevrtice del sodalizio 16 caporali, con compiti di direzione e controllo dell’illecita attività. Erano loro a stabilire le modalità del reclutamento, a fissare le condizioni dell’impiego sui campi dei singoli braccianti, ad avere i rapporti con gli imprenditori-utilizzatori della manodopera, ad organizzare i furgoni utilizzati per il trasporto dei braccianti reclutati presso le diverse aziende, a tenere la contabilità relativa alle giornate di lavoro svolte da ciascun bracciante, a retribuire quest’ultimo per la singola giornata di lavoro svolto mediante la corresponsione di somme di denaro non adeguate al lavoro prestato. Poi c’erano 8 sub-caporali, con il ruolo di collaboratori diretti dei vertici del sodalizio criminoso, la longa manus di questi ultimi nella gestione della manodopera bracciantile.

Altre 22 persone erano gli utilizzatori, che, attraverso le aziende agricole da loro gestite, ben 13, e sulla scorta di consolidati rapporti con i vertici dell’organizzazione criminale, impiegavano i braccianti reclutati nei campi, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Ciò mediante un collaudato sistema di fittizie assunzione che, in ultima analisi, determinava imponenti risparmi fiscali e previdenziali.

Un dipendente dell’amministrazione comunale di Rossano, abusando del suo ruolo, favoriva i vertici dell’organizzazione criminale rilasciando documenti di identità e certificati di residenza in favore dei braccianti reclutati, al fine di regolarizzarne la posizione sul territorio e consentire la fittizia assunzione da parte delle aziende utilizzatrici. La seconda associazione, composta da 13 persone, era impegnata, oltre che nell’illecito sfruttamento della manodopera, anche nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le indagini della Guardia di Finanza di Montegiordano hanno consentito di far emergere la struttura criminale che, dietro pagamento di cospicue somme di denaro, organizzava matrimoni “di comodo” finalizzati a garantire la permanenza, sul territorio italiano, di immigrati irregolari o a favorire, mediante permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, l’ingresso di persone dimoranti all’estero. Dopo essersi procurati la documentazione necessaria, gli indagati organizzavano le nozze in Comune e, con la partecipazione di testimoni fittizi, aveva luogo il matrimonio tra i finti sposi che poi, decorsi i termini di legge, attivavano le pratiche di divorzio.

Le indagini hanno permesso di individuare oltre 200 braccianti agricoli, per lo più extracomunitari, i quali, in stato di bisogno, sono stati impiegati, in condizioni di sfruttamento, a favore di 14 aziende agricole e di ricostruire le retribuzioni percepite dai braccianti reclutati corrisposte in nero ed inidonee a garantire una vita dignitosa. Imponenti i guadagni illeciti accumulati dagli indagati che usavano automezzi per il trasporto dei braccianti sui campi di lavoro.

Dall’attività degli inquirenti è emerso l’ acquisto illegale di gasolio per l’agricoltura. Combustibile agevolato poiché con accisa ridotta, utilizzato per alimentare i i mezzi di trasporto dei caporali. Il gasolio veniva acquistato dagli indagati direttamente o tramite soggetti terzi e detenuto nei luoghi di dimora, in modo da poterlo utilizzare all’occorrenza, Le condizioni in cui vivevano i braccianti agricoli erano degradanti: alloggiavano in strutture fatiscenti, spesso in soprannumero, in strutture di fortuna, procurate loro dagli indagati, e per le quali erano costretti a corrispondere una somma di denaro ai caporali per abitarvi.

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