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L'Unical di Rende

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LA Procura aveva chiesto una cinquantina di condanne comprese fra tre e quattro anni di reclusione, ma alla fine le pene accordate agli studenti dell’Unical sospettati di essersi laureati con l’inganno sono state decisamente più miti, anche in virtù della prescrizione di una parte dei reati in contestazione.

Da uno a due anni con sospensione della pena e risarcimento da accordare in separata sede all’ateneo costituitosi in giudizio, questa la punizione inflitta loro dal giudice Urania Granata che con la sentenza pronunciata ieri ha posto fine a un processo che si trascinava ormai da dieci anni. E si tratta ancora del verdetto di primo grado.

“Centodieci e lode” è il nome in codice dell’inchiesta che ha nel mirino i presunti falsi esami sostenuti alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Unical tra il 2004 e il 2011, anno in cui l’intera vicenda viene a galla. Il punto di partenza è la denuncia di un docente che non riconosce come sua la firma apposta su uno statino; la cosa viene comunicata all’allora rettore Latorre che a sua volta informa la Procura, innescando così l’inchiesta giudiziaria.

Nei mesi successivi, il pm Tridico, di concerto con gli uomini della Digos, spulcia migliaia di statini relativamente a tutti gli esami eseguiti nella facoltà di Lettere e Filosofia nei primi anni del Duemila e tale attività d’indagine consente di concentrare i sospetti su tre membri della segreteria studenti e su una tutor che avrebbero operato materialmente le falsificazioni delle quali hanno poi goduto gli studenti, aggiungendo ai rispettivi piani di studio alcuni esami in realtà mai sostenuti.

Le accuse confezionate nei loro confronti consistono nella falsità materiale e ideologica e nella frode informatica. Rispetto a tali ipotesi, però, le tre funzionarie della segreteria sono state assolte. Si trattava della dirigente Fortunata Candido che rischiava una delle pene più severe invocate da Tridico – quattro anni di detenzione – ma per la quale hanno infine prevalso le argomentazioni difensive proposte in aula dai suoi difensori, gli avvocati Giorgia Medaglia e Luca Acciardi.

Destino analogo per Paola Volpe e Valeria De Bonis, nei confronti delle quali anche la Procura si era determinata a chiedere l’assoluzione sulla scia delle tesi difensive esposte dagli avvocati Antonio Ingrosso e Stefania Ingrosso e da Gino Perrotta e Luigi Bottino. Assolte anche loro, dunque, a differenza della tutor Angela Magarò, stangata con tre anni e nove mesi di reclusione. A lei sono collegate, dunque, le posizioni degli studenti condannati al termine del processo di primo grado, mentre va da sé che quelli accusati in concorso con Candido, Volpe e De Bonis hanno potuto incassare un verdetto assolutorio. A difenderli, tra gli altri, c’erano gli avvocati Aldo Cribari, Giampiero Calabrese e Giuseppe Malvasi.

L’inchiesta, dicevamo, si è trascinata stancamente da diversi anni, ostacolata da una serie di intoppi procedurali che ne hanno ritardato l’epilogo. In un primo momento, infatti, la competenza si era radicata a Catanzaro per la natura dell’ipotesi di reato contestata agli imputati – accesso abusivo al sistema informatico dell’ateneo – che chiamava in causa proprio i giudici del capoluogo distrettuale. Il processo era quasi terminato, ma con un colpo di scena, proprio l’eccezione difensiva sollevata in tema di competenza territoriale ha comportato il trasferimento degli atti a Cosenza. Morale della favola: tutto il lavoro svolto fino a quel momento in aula, testimonianze incluse, è stato dichiarato nullo e da rifare. Si è ripartiti così dal principio, riavvolgendo un nastro giudiziario che lentamente ha smesso ora di girare. Se ne riparlerà in Appello.

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