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LA CORTE di Cassazione suggella la fine della vicenda processuale relativa al duplice omicidio Chiodo-Tucci nella cosiddetta “strage di via Popilia”: diventano definitive, infatti, le condanne all’ergastolo per Antonio Abbruzzese (alias “Strusciatappine”) e Fiore Abbruzzese, e a 30 anni per Celestino Bevilacqua e Luigi Berlingieri detto “Faccia di ghiaccio”, nel solco di quanto già stabilito dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Da rideterminare, invece, quella nei confronti di Saverio Madio, annullata con rinvìo e per la quale sarà dunque necessario un nuovo processo in Corte d’Assise d’Appello.

La “strage di via Popilia”, si consumò il 9 novembre del 2000 a colpi di pistola e kalashnikov: nell’agguato persero la vita Benito Chiodo e Francesco Tucci, mentre Mario Trinni rimase gravemente ferito. Le accuse contro i quattro, tutti facenti parte del clan degli “zingari”, si fondano quasi per intero sulle confessioni di Franco Bevilacqua al secolo “Franchino ‘i Mafarda”. Dal 2001, infatti, Bevilacqua collabora con la giustizia e, tra le prime dichiarazioni rese agli inquirenti, c’è anche la sua verità sull’uccisione di Aldo Benito Chiodo e Francesco Tucci, con quest’ultimo nel ruolo di vittima collaterale di un agguato che aveva nel primo uomo l’originario e unico bersaglio.

Il movente sarebbe da inquadrare nella fine della già fragile alleanza che all’epoca intercorre tra il suo gruppo e quello dei cosiddetti “italiani” di cui Chiodo è elemento di vertice. Già da alcuni mesi, i due schieramenti si sono divisi gli ambiti criminali di riferimento, ma un brutto giorno è proprio Chiodo a violare il patto, decretando così la propria condanna a morte. Nei suoi ultimi istanti di vita, l’uomo è all’esterno della sua piccola rosticceria in compagnia dell’amico Tucci e di un altro conoscente, Mario Trinni. Sono da poco passate le 18 quando sopraggiunge una Thema guidata da Ninuzzo, con a bordo lo stesso Mafarda e, a suo dire, Gianfranco Iannuzzi, detto “‘Ntacca”, vittima di lupara bianca, e “Faccia di ghiaccio”. Sarebbe quest’ultimo che impugna il mitra e fa fuoco contro i bersagli, stendendone due sul colpo. Trinni, infatti, è ferito a un braccio ma riesce a fuggire; proveranno a inseguirlo per completare l’opera, ma senza riuscirvi. Alla fine, sull’asfalto si conteranno una trentina di bossoli, più quelli dei colpi di grazia esplosi contro le vittime.

Oltre a presentarsi come ispiratore dell’agguato, Bevilacqua indica “Strusciatappine” come secondo mandante, impossibilitato però a prender parte alla spedizione poiché detenuto ai domiciliari. A Madio e Ciccio Bevilacqua, invece, sarebbero spettati ruoli di supporto sia prima che dopo l’azione di fuoco.

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