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ISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Tredici condanne e sette assoluzioni. E’ la sentenza del gup distrettuale di Venezia Andrea Battistuzzi nel processo col rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che nel giugno 2020 portò all’operazione Isola scaligera, con cui la Dda del capoluogo veneto ritiene di aver reciso i tentacoli della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto disarticolando il “locale” di ‘ndrangheta di Verona.

Associazione mafiosa, spaccio di droga, estorsione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, favoreggiamento, illecita detenzione di armi, minacce e lesioni, simulazione di reato, truffe, corruzione, turbata libertà degli incanti le accuse contestate a vario titolo agli imputati.

Capo indiscusso è ritenuto Antonio Giardino, alias “Totareddu” o il “Grande”, che avrebbe diretto l’articolazione scaligera della cosca isolitana, intrattenendo costanti rapporti con i vertici del clan. Giardino, che però ha scelto il rito ordinario ed è stato rinviato a giudizio insieme a una ventina di imputati per i quali il processo inizia proprio oggi, avrebbe aggiornato la cosca di appartenenza sulle decisioni e messo danaro di provenienza illecita a disposizione; avrebbe stretto anche rapporti  con alcuni operatori delle forze dell’ordine per acquisire  informazioni relative alle attività investigative in corso e garantire l’impunità degli affiliati.

Durante la fase delle indagini preliminari si sono registrate due collaborazioni con la giustizia, quella dell’isolitano Domenico Mercurio, che si occupava del reimpiego di denaro di provenienza illecita, e del veronese Nicola Toffanin, che aveva il compito di intrattenere rapporti con politica e colletti bianchi. Sono stati condannati rispettivamente a 4 anni e 6 mesi e a 4 anni e 8 mesi di reclusione.

Di rilievo il ruolo del vibonese Francesco Vallone, che però ha scelto il rito ordinario, indicato come l’organizzatore delle attività di infiltrazione mafiosa nell’azienda municipalizzata del Comune di Verona Amia poiché in qualità di titolare del centro studi “Enrico Fermi” avrebbe permesso al clan di far conseguire titoli di studio a numerosi sodali – come Ottavio Lumastro, ritenuto uno dei promotori dell’associazione mafiosa tanto che si è beccato la pena più elevata, a 13 anni e 6 mesi – ma anche a una figlia di Nicolino Grande Aracri, il boss di Cutro del quale è stato di recente acclarato un farsesco tentativo di collaborazione con la giustizia. Alta anche la condanna per Giovanni Ruggero Giardino, figlio di Antonio, considerato organizzatore del traffico di stupefacenti: 11 anni e 8 mesi.

Uno condannato e l’altro assolto i presunti concorrenti esterni, Andrea Miglioranzi ed Ennio Cozzolotto, rispettivamente presidente e direttore tecnico dell’Azienda speciale del Comune di Verona, Amia, i quali, secondo la Dda di Venezia, avrebbero piegato la loro funzione al servizio di soggetti economici riconducibili al gruppo criminale. Scagionato Cozzolotto, condannato a 2 anni e 8 mesi Miglioranzi. Toffanin e Miglioranzi dovranno risarcire la Cgil di Verona e quella del Veneto costituitesi parte civile.  

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