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Ufuk in custodia

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«Testimonianze unanimi e circostanziate» contro lo scafista Ufuk, il gup non crede alla “persecuzione” di Erdogan, depositate le motivazioni della sentenza col rito abbreviato


CROTONE – «L’ipotesi accusatoria ha trovato ampio e pieno riscontro» nel racconto «preciso, circostanziato ed inequivoco» dei superstiti del tragico naufragio di Cutro, dieci dei quali hanno «unanimemente riconosciuto» il turco 38enne Gun Ufuk come lo scafista che curò il trasbordo dalla prima alla seconda imbarcazione. Sono queste le motivazioni della sentenza con cui il gup Elisa Marchetto ha condannato a vent’anni di reclusione e al pagamento di una multa da 3 milioni l’unico imputato che ha scelto il rito abbreviato fra quanti sono accusati di aver provocato l’affondamento del caicco Summer Love davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro nel quale, il 26 febbraio dello scorso anno, persero la vita 94 persone.

Sono state accolte le richieste del pm Pasquale Festa nei confronti del turco, difeso dall’avvocato Salvatore Falcone, accusato di naufragio colposo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte in conseguenza di altro reato. Stesse imputazioni per le quali altri tre presunti scafisti – Sami Fuat, turco di 50 anni, Khalid Arslan, di 25 anni, e Ishaq Hassnan, di 22 anni entrambi pakistani – sono a giudizio davanti al Tribunale penale in composizione collegiale.

Sono stati, dunque, i sopravvissuti al massacro a inchiodare Ufuk, immortalato anche in un video agli atti dell’inchiesta. L’imputato è stato individuato dai migranti come lo scafista che, giunto a bordo della Summer Love, aveva curato il trasbordo dei passeggeri dalla prima imbarcazione, la Luxury 2, in seguito a un’avaria del motore. Ufuk si sarebbe alternato alla guida con Bayram Guler, morto nel tragico sbarco, e si sarebbe occupato della riparazione del motore. Avrebbe contribuito a condurre il caicco, secondo la «rotta acclarata», fino a quella «rischiosa manovra all’origine del ribaltamento dell’imbarcazione».

Come si ricorderà, gli scafisti scambiarono le luci dei pescatori sulla spiaggia con forze dell’ordine e cambiarono repentinamente direzione con una brusca accelerazione fino al terribile schianto contro quella maledetta secca. Una manovra attuata «in condizioni meteo proibitive, in assenza di adeguate conoscenze dello stato dei fondali e seppure il natante fosse privo di dispositivi di protezione collettiva e individuale», osserva il gup. Tutto ciò «al solo scopo di sottrarsi ad eventuali controlli o interventi della guardia costiera».

L’imputato, inoltre, poco prima che la barca si ribaltasse, «anziché chiamare i soccorsi o prodigarsi per prestare soccorso ai migranti stipati nel caicco (tra i quali vi erano molte donne e bambini) – rileva ancora il giudice – si procurava la fuga, a bordo di un gommone, riuscendo poi a dileguarsi, sottraendosi alle forze dell’ordine». Ufuk fu poi arrestato, due mesi dopo la tragedia, in Austria, dove si era rifugiato «evidentemente grazie al supporto dell’organizzazione criminale nella quale era inserito». Un riferimento all’organizzazione transnazionale su cui indaga, come già riferito dal Quotidiano, la Dda di Catanzaro.

Il gup non ritiene attendibile la versione fornita dall’imputato in aula. Ufuk, che durante l’interrogatorio di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere, durante il processo ha «poco credibilmente – è detto nella sentenza – negato ogni addebito sostenendo (in contraddizione col granitico quadro probatorio emerso in sede istruttoria) di non aver mai condotto l’imbarcazione, avendo svolto una mera funzione di macchinista». Ufuk ha sostenuto che il «vero capitano» fosse Bayram. «Stavo soltanto vicino a lui, non mi sono messo a guidare».

L’imputato ha affermato di non aver chiamato i soccorsi perché il suo telefono era spento e perché i migranti li avevano già chiamati prima dell’incidente, ma la circostanza è smentita dagli stessi migranti sentiti nel corso delle indagini. Ha, inoltre, confermato di non aver aiutato nessuno giustificandosi in quanto si era «spaventato» perché «tante grida, tante persone che chiedevano aiuto».
Un altro elemento che, sempre secondo il gup, corrobora l’inserimento di Ufuk in un’organizzazione è dato dalla sua stessa testimonianza. L’imputato dice di essere fuggito con un certo Mohammed per poi salire su un taxi e quindi su un treno. Lui si è diretto in Austria, il complice in Germania, ma ciò non fa altro che confermare l’esistenza di una rete criminale.

Il gup ritiene «non documentate», invece, le giustificazioni di Ufuk che sostiene di essersi messo in viaggio perché perseguitato dal regime di Erdogan avendo preso parte, nel 2016, al colpo di Stato promosso dall’organizzazione di Fetullah Gulem. Ufuk si sarebbe «improvvisamente» ricordato di essere un perseguitato soltanto nove mesi dopo l’arresto.

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