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Nicola Gratteri

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CUTRO (CROTONE) – «E’ da tanto che lo sto seguendo io». «Però quattro o cinque anni fa l’hanno fallito, stava andando a Crotone, per lui avevano trovato pure i cosi… o si sono spaventati allora». «L’unica cosa è questa, che l’acchiappano sennò…».

A parlare di un progetto di attentato al procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, era Antonio Ribecco, di San Leonardo di Cutro, ritenuto il capo della ‘ndrina umbra riconducibile alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mannolo Trapasso e alleati del clan Commisso di Siderno. E’ l’intercettazione in seguito alla quale fu elevato il livello di sicurezza della scorta di Gratteri. E sono proprio gli eredi di Ribecco, morto di Covid in carcere nell’aprile scorso, e Alberto Benincasa, di Perugia, considerato imprenditore di riferimento del clan, i destinatari di un decreto di sequestro di beni per otto milioni di euro eseguito dal Servizio centrale Anticrimine della polizia di Stato e dalle Divisioni Anticrimine delle Questure di Perugia e Crotone emesso dalla Sezione per le misure di prevenzione di Catanzaro, su proposta del procuratore distrettuale e dei questori delle due province (LEGGI LA NOTIZIA).

Sia Ribecco che Benincasa furono arrestati nel 2019 nell’ambito dell’operazione Infectio con le accuse, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alla detenzione e all’occultamento di armi clandestine, alla consumazione di una serie di reati di natura contabile strumentali alla realizzazione di frodi in danno del sistema bancario, al riciclaggio, all’intestazione fittizia di beni e al trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta avrebbe fatto luce sulle infiltrazioni della cosca sanleonardese nel tessuto economico e imprenditoriale umbro, con particolare riferimento alla capacità di manipolare istituti societari, contabili e finanziari in modo da trarre benefici economici. I perni del complesso sistema criminale sarebbero proprio i destinatari dei provvedimenti di sequestro.

In particolare, Ribecco era ritenuto il principale promotore e organizzatore, insieme al figlio Natale e al cognato Francesco, del traffico di stupefacenti introdotti dalla Calabria grazie anche ai rapporti con organizzazioni criminali albanesi. Benincasa, invece, avrebbe assunto la gestione di un articolato sistema volto alla commissione di reati di natura finanziaria e tributaria, propedeutici alla consumazione di truffe bamncarie. Un affare che avrebbe fruttato introiti al sodalizio per circa 700 mila euro, facendo leva sulla costituzione o acquisizione, attraverso prestanome nullatenenti, di società cartiere tramite le quali il clan accedeva al credito bancario. Dopo il fallimento avevano luogo trasferimenti d’azienda in favore di terzi non aggredibili dal punto di vista imprenditoriale e così le banche non potevano recuperare i finanziamenti già erogati. Al fine di sfuggire ai sequestri antimafia gli indagati avrebbero reinvestito, attraverso l’interposizione fittizia di stretti congiunti o di terze persone, i proventi delle attività illecite non solo nell’acquisto di beni mobili e immobili di ingente valore ma anche in compagini societarie, operanti prevalentemente nel campo dell’edilizia, degli autotrasporti e della ristorazione. Sono contestati anche episodi di estorsione e di illecita concorrenza.

Dagli approfondimenti patrimoniali è, dunque, emerso che a fronte di situazioni reddituali modeste o addirittura insufficienti anche al semplice soddisfacimento delle primarie esigenze quotidiane, gli indagati avrebbero assunto la disponibilità di fatto di 9 compagini societarie; un’impresa individuale; 42 immobili, tra terreni e fabbricati; 41 automezzi; 5 veicoli; 3 posizioni nell’ambito di altrettanti contratti di leasing per l’acquisto di veicoli; circa 50 rapporti finanziari, titoli e depositi, per un valore complessivamente stimato di circa 8 milioni di euro.

Le risultanze dell’inchiesta Infectio sono state accorpate a quella denominata Malapianta e ne sono scaturiti due processi. In quello col rito ordinario è imputato Benincasa. Il filone del rito abbreviato si è concluso con condanne per oltre 360 anni di carcere e, in particolare, Francesco Ribecco è stato condannato a 9 anni e 4 mesi; Domenico Ribecco a 10 anni; Natale Ribecco a 15 anni e 4 mesi.

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