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L’impianto di compostaggio di Cotronei

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Operazione Fangopoli, nuovi dettagli sull’impianto di compostaggio di Cotronei dove i cattivi odori si sentivano a chilometri di distanza

COTRONEI – Ironia della sorte, si trova in via della Salute. Era già stato sottoposto a sequestro preventivo nel febbraio 2022 l’impianto Ecorec di Cotronei, uno dei tre su cui hanno messo i sigilli i carabinieri del Noe nell’ambito dell’operazione Fangopoli, con cui la Dda di Catanzaro avrebbe sgominato un traffico illecito di rifiuti tra le province di Catanzaro e Crotone.

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L’impianto, ubicato all’ingresso della strada provinciale “31”, si trova peraltro a poche centinaia di metri da un costruendo stabilimento termale. Secondo numerose testimonianze, emanava un cattivo odore che si avvertiva, specie nel periodo estivo, anche nel centro abitato. I carabinieri avevano, infatti, riscontrato una gestione in aperta violazione della normativa ambientale poiché i rifiuti liquidi prodotti nella fase di lavorazione in ingresso venivano smaltiti, secondo l’accusa, mediante lo sversamento in un corso d’acqua superficiale adiacente all’impianto, con rischio di inquinamento della falda in un territorio caratterizzato dalla presenza di aree agricole.

Dall’analisi dei documenti è poi emerso che Ecorec avrebbe gestito quantitativi di rifiuti di gran lunga al di sopra di quanto autorizzato, ovvero 2800 tonnellate annue. Quantitativi che l’impianto di Cotronei, per la sua peculiare tipologia, il trattamento mediante lombri-compostaggio (cioè in modo naturale attraverso la fermentazione ed alimentazione di lombrichi), non sarebbe assolutamente in grado di smaltire. Soltanto nel 2020 i rifiuti biodegradabili di cucine e mense conferiti superavano le 4mila tonnellate, mentre nel 2021 erano oltre 6700 tonnellate.

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L’amministratore Andrea Pariano, 44enne di Crotone tra i sei finiti agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta, pur a conoscenza dei limiti dell’impianto avrebbe continuato ad incamerare rifiuti violando le soglie di quantitativi trattabili, con ciò smaltendo in modo irregolare i rifiuti e favorendo gli utili della filiera. Secondo la ricostruzione delle pm della Dda di Catanzaro Chiara Bonfadini e Marica Brucci, infatti, questa metodologia illecita di gestione rientrava in un più ampio disegno criminoso, in una rete di smaltimento illegale a cui Pariano accedeva con lo schermo dell’autorizzazione per l’impianto di lombri-compostaggio. Il peso dei rifiuti era un orpello da modificare a piacimento: spesso lo indicava l’autista in assenza di operazioni di pesatura.

Pariano, secondo gli inquirenti, era “totalmente asservito” all’indagato chiave Gioacchino Rutigliano, amministratore di fatto della G&D Ecologica spa con sede a Curinga, del quale seguiva le direttive formando falsamente i formulari di identificazione dei rifiuti e riportando l’avvenuta ricezione di carichi mai giunti presso l’impianto di Cotronei. «Quindi ti accetto il peso tuo e mi mandi poi le bindelle tue», diceva ad Antonietta Vescio, dipendente di Rutigliano, la quale ribadiva: «Faccio io la tua, tu accetta il peso». E se Pariano manifestava disappunto, Rutigliano dettava cosa bisognava scrivere: «vuoi che ti accetto ‘sto formulario? Sennò lo annullo. Mi devi scrivere al punto due: causa guasto tecnico, il viaggio prosegue con cambio targhe e cambio autista… e l’ora mi devi mettere… a me se mi viene un controllo mi inculano».

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Il veicolo indicato come impegnato nello scarico si trovava però a Lamezia Terme e non nell’impianto di Cotronei. Ma la strategia del “guasto tecnico” era ricorrente e figura in quasi tutti i formulari relativi a trasporti dalla Sicilia. In un caso il “nuovo” autista sarebbe giunto a destinazione ben undici giorni dopo l’avvenuto carico. La sistematica falsificazione dei formulari, secondo l’accusa, era necessaria per giustificare l’attività di stoccaggio non autorizzato realizzata dalla G&D, dove i fanghi stazionavano per giorni al solo fine di riempire il più possibile i cassoni destinati agli impianti di smaltimento. Il peso veniva poi concordato “a tavolino” per aumentare gli introiti erogati dall’ente pubblico appaltante lo smaltimento.

Il sistema consentiva di lucrare sia alla ditta trasportatrice che alle società coinvolte perché grazie all’incremento fittizio del peso dei rifiuti saliva l’importo delle fatture liquidate dai Comuni. E nonostante l’impianto fosse stato sequestrato, gli accorgimenti imbastiti dagli indagati per eludere le norme di settore erano continui. Un argomento utilizzato peraltro dagli inquirenti per giustificare le esigenze cautelari.

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