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Stando solo ai freddi numeri, verrebbe da considerare non proprio di primissimo piano le elezioni amministrative di oggi in 74 Comuni calabresi. È vero che si vota anche per il nuovo sindaco e i nuovi consigli di Catanzaro e di altri tre Comuni con più di 15.000 abitanti (Acri e Paola, in provincia di Cosenza, e Palmi, nel Reggino), ma per la maggior parte degli altri enti si tratta di piccole comunità. La chiamata alle urne riguarda poco più del 18% dei 404 Comuni calabresi. Fatti locali, molto spesso localissimi.

Sì, c’è attesa e curiosità per la competizione elettorale di Catanzaro, se proprio si volesse assecondare la spasmodica voglia di vedere “test” politici ovunque, ma per il resto cosa accadrà a San Pietro Apostolo, piuttosto che a Olivadi o a Carpanzano e Laganadi, probabilmente interessa solo nell’ambito dei rispettivi confini territoriali.

Eppure non è e non può essere così, perché il ruolo dei nuovi sindaci, dal centro più grosso fino a quello che conta 279 anime (Staiti) – e non importa se ci sono tanti casi in cui è stata presentata una sola lista per cui la sfida elettorale è contro l’affluenza – dovrebbe incarnare i canoni di una rivoluzione coraggiosa per cambiare testa e cuore degli amministratori.

Una roba non da poco, perché basta parlare con uno qualsiasi dei sindaci in carica – e non solo in Calabria – per avere la conferma degli studi e delle statistiche che da anni ci ricordano che le casse dei Comuni sono sempre più vuote, che le pratiche di bilancio in moltissimi casi si votano in dieci minuti perché non si può più neanche litigare “politicamente” su questa o quella destinazione di risorse semplicemente perché risorse non ce ne sono. I motivi sono tanti (minori trasferimenti statali, riscossione dei tributi al lumicino, spese rilevanti per servizi essenziali a partire da acqua e smaltimento dei rifiuti…), ma la situazione è questa.

Una sfida impossibile? Difficile, non impossibile. Certo, dipende dai motivi perché uno vuole fare il sindaco. Ma se lo fa perché crede nella valenza collettiva del suo ruolo, allora la sfida può essere possibile, a patto che sia disposto a scelte coraggiose che a volte vanno fatte capire alla comunità, piccola o grande, e che in altre devono superare persino le ambizioni personali a fronte di interessi superiori qual è certamente il bene comune, e non necessariamente percepibile nell’immediato.

Per uscire dall’astratto delle parole basti pensare all’opportunità, qualora ne ricorrano le condizioni (omogeneità territoriale e culturale, per esempio), di intraprendere la strada della fusione tra Comuni. Con le risorse (finanziarie e quindi anche umane) attualmente a disposizione, prendendo in prestito un concetto molto spesso usato in economia, si potrebbe dire rispetto ai Comuni che oggi “piccolo” sarà anche “bello”, ma non è detto che sia la soluzione migliore. Tante volte, oggi, non lo è.

Dando per scontato che il coraggio di fare il sindaco significa tenere lontano non solo la propria persona ma tutto l’ente da paludi di malaffare, viene un altro spunto di riflessione: è meglio bearsi in magnifica solitudine di una carica così piccola e così grande all’ombra del gonfalone o cercare di fare rete con altre comunità per riuscire a ottenere più servizi per i cittadini, anche a costo di diventare per una volta coprotagonista? Magari il miglioramento della qualità dei servizi (e della vita) nel proprio comune può valere di più di una foto sul giornale da protagonista in una trama fatta di briciole.

Poco tempo fa, su questo giornale, Mimmo Nunnari ha scritto un editoriale sui sindaci calabresi e il fattore “M” (a proposito della “manutenzione programmata”). “A nessuno, che abbia un minimo di amore per la propria città, per la loro storia, e rispetto per i cittadini, può sfuggire l’importanza del complesso di operazioni necessarie a conservare funzionalità ed efficienza dei beni di una comunità: strade, edifici, monumenti, macchinari, argini di fiumi, impianti di depurazione, acquedotti, edifici storici” ha scritto tra l’altro Nunnari.

Un promemoria per tutti i sindaci, vecchi e nuovi, che peraltro si può inquadrare nella sfida di puntare, con le poche risorse a disposizione, ad attività essenziali che servono a garantire bellezza ma ancor prima sicurezza ai cittadini. Una sfida nella sfida: ci sarà qualcuno tra i nuovi amministratori in grado di garantire che una strada appena asfaltata non torni ad essere piena di buche e voragini dopo pochi mesi? Ci sarà qualcuno in grado di far controllare che i lavori vengano eseguiti a regola d’arte, senza risparmi fraudolenti sui materiali? Robetta? Forse, ma da qualche parte bisogna pure cominciare.

Non sarà contenta qualche ditta, nell’immediato, perché un centimetro in più di asfalto può far venir meno un gruzzoletto (non dovuto), verrà meno qualche voto, ma la comunità saprà apprezzare. In bocca al lupo ai nuovi sindaci. E ai cittadini amministrati.

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