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Il sottosegretario Pierpaolo Sileri

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CATANZARO – La variante Omicron vista come passaggio intermedio e propedeutico ad una fase endemica, con la conseguente alta probabilità che quello attuale sia un percorso verso l’uscita da un’emergenza che dura da quasi due anni, ferma restando la priorità di concludere la campagna vaccinale, sia con le prime che con le terze dosi.

È la sintesi di parte del pensiero e del ragionamento che Pierpaolo Sileri, sottosegretario di Stato al ministero della Salute, ha condotto per Il Quotidiano del Sud. Nella prima parte dell’approfondimento, anche un focus su uno dei temi che da qualche giorno è al centro del dibattito politico e anche scientifico: quello dei pazienti covid ricoverati per altre cause ma positivi al tampone. Le opinioni sul punto sono contrastanti anche in Calabria, dove la scorsa settimana è emerso come si tratti di un fenomeno che esiste e persiste ormai da settimane. Mediamente, il 30% o poco più dei pazienti ricoverati arrivano in ospedale per altre ragioni. Isolarli dagli altri pazienti è inevitabile. Allo stesso tempo, però, è sempre più vicina la svolta sulle comunicazioni nel bollettino per distinguere positivi e malati. E la conferma e spiegazione arriva sempre dal sottosegretario Sileri.

Negli ultimi giorni, a partire dall’indagine statistica Fiaso, è esplosa la discussione nazionale e locale sui ricoverati per altre cause e positivi al covid. In molte realtà ospedaliere, come in quasi tutti gli Hub calabresi, questi vengono ricoverati nei reparti covid. Lei li conterebbe come ricoveri covid? A prescindere dal fatto che siano fisicamente nel reparto covid, li farebbe contare anche a fini statistici nella percentuale di occupazione delle aree non critiche?

«Il paziente che entra in ospedale per un alluce valgo, viene sottoposto al tampone e si scopre positivo diventa a tutti gli effetti un paziente Covid, nel senso che, anche se è totalmente asintomatico, deve essere separato dagli altri pazienti del reparto nel quale sarebbe stato ricoverato se negativo, con tutti i riflessi organizzativi e logistici che ne conseguono per l’organizzazione sanitaria. Ciò detto, è ovvio che occorrerà prevedere, nella comunicazione dei dati, una distinzione tra chi entra in ospedale per i sintomi tipici della polmonite Covid-19 e chi risulta positivo al tampone dopo essere entrato per altri motivi, così come sarebbe necessario un maggior dettaglio nel distinguere i casi positivi e i casi sintomatici, per far finalmente chiarezza sul fatto che essere “positivi” non vuol dire essere “malati”».

Il fenomeno determina anche una scelta sui percorsi di cura. Nell’Hub di Catanzaro, l’Ospedale Pugliese o nel Presidio Asp di Rossano (Cosenza) si stanno raggiungendo risultati soddisfacenti di cura includendo questi pazienti nei reparti covid. Ovviamente il tutto assicurando le consulenze specialistiche. L’altro modello è quello di creare camere di isolamento all’interno di ogni Unità Operativa. Quale via scegliere?

«Il punto centrale è che i pazienti “con Covid” devono essere isolati rispetto ai pazienti “no Covid”. Che ciò possa avvenire assicurando a questi pazienti le cure specialistiche all’interno dei reparti Covid o viceversa creando delle aree di isolamento Covid nei singoli reparti, è una scelta organizzativa che va fatta in base alle specificità di ogni singola realtà e che va costantemente monitorata per garantire il miglior risultato per i pazienti ed il massimo di efficienza nella gestione dell’ospedale».

Da tempo lei sostiene che il covid è destinato a divenire endemico e a rimanere con noi. Quanto potrà incidere ancora sugli ospedali, in futuro, un virus endemico?

«La pandemia si trasformerà in endemia quando il tasso di riproduzione scenderà stabilmente sotto il valore 1 e l’impatto clinico del virus sul sistema sanitario sarà stabilmente sotto controllo. La variante Omicron che attualmente sta prendendo il sopravvento è probabilmente un passaggio intermedio verso la fase di endemizzazione, ma ci vorrà ancora del tempo. Per accelerare questo esito, sta a tutti noi rafforzare il “muro di immunità” nei confronti del virus, completando la campagna vaccinale sia con le prime che con le terze dosi: i dati ci dicono infatti che per chi è vaccinato, specie con terza dose, Omicron ben difficilmente costituisce un rischio concreto per la salute».

Già la scorsa estate in Calabria si era registrato un aumento dei pazienti ricoverati per altre cause e positivi al covid. Le vaccinazioni sventano la gravità della malattia in un altissimo numero di casi. È questa anche una delle ragioni dell’aumento di questa tipologia di ricoveri?

«I dati scientifici di tutto il mondo dicono che il vaccino non blocca l’infezione, anche se la rende meno probabile, ma riduce drasticamente le forme gravi e critiche di Covid-19. Quindi sì, è possibile che l’incremento dei pazienti asintomatici dipenda anche dall’incremento della copertura vaccinale».

La campagna vaccinale in Calabria prosegue a gonfie vele e a parte criticità localizzate ormai la copertura è molto elevata. Lei pensa che possa esserci bisogno di una quarta dose? O ritiene più efficace attendere un vaccino aggiornato come quello annunciato da Pfizer?

«Sono discorsi ancora prematuri, sarà la scienza ad indicarci la strada migliore».

Dovremo fare tutti gli anni un vaccino stagionale contro il coronavirus, aggiornato sul ceppo prevalente, così come si fa attualmente per l’influenza?

«Non è certo un dramma, è una delle possibilità, e rientra in quel processo di convivenza con il virus al quale dovremo tutti abituarci».

Usciremo dalla pandemia nel 2022?

«Non ho la palla di vetro e non so indicare una data precisa, ma da uomo di scienza momentaneamente prestato alla politica le posso dire con ragionevole certezza che siamo avviati con decisione verso l’uscita».

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