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L’aula del processo “Trattativa”

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IL processo sulla trattativa “Stato-mafia” nasce da fatti risalenti ai primi anni Novanta. Si tratta dello stesso periodo in cui lo Stato con suoi uomini ha trattato con la ‘ndrangheta durante il sequestro di Roberta Ghidini, una ragazza di Centenaro di Brescia sequestrata alle ore 7,30 del 15 novembre del 1991. Una serie di circostanze particolarmente fortunate portò ad individuare la cosca responsabile.

Ma ormai la ragazza era in Calabria e l’Aspromonte appariva come una fortezza impenetrabile. Bisognava tutelare la sicurezza della ragazza e nello stesso tempo agire con la massima determinazione possibile perché le elezioni politiche erano alle porte.

La Lombardia era ancora un serbatoio di voti per i partiti di governo ed in particolare della Dc ma la “Lega” incominciava a diventare una presenza insidiosa e la piaga dei sequestri, ad opera delle cosche calabresi, veniva utilizzata dai leghisti come una testa di ariete nella strategia di sfondamento. Inoltre, Centenaro è a un tiro di schioppo dalla casa di un importante ministro dell’epoca e la famiglia Ghidini è una famiglia nota in tutto il comprensorio.

Lo Stato decide di mostrare i muscoli trasferendo in Calabria 1800 militari armati che mettono a ferro e fuoco molti paesi della Locride ma, contemporaneamente, inizia la trattativa.

I servizi trattano ma hanno le spalle coperte eccome… sino al punto da far liberare dal carcere il boss Vincenzo Mazzaferro a cui verrà consegnata una borsa con 500 milioni ed un largo margine di azione in nome dello Stato. Il sequestro Ghidini si concluderà nel migliore dei modi. La ragazza verrà liberata nel giro di pochi giorni. I partiti di governo riconquisteranno il potere anche se per l’ultima volta. I sequestratori uscirono senza tanti danni. Vincenzo Mazzaferro avrà come premio la libertà ma, a quanto si dice, perderà la vita per fatti e misfatti legati al sequestro Ghidini.

È stato l’unico caso in cui lo Stato trattò con la ‘ndrangheta? Niente affatto! Stato e ‘ndrangheta in pratica hanno sempre trattato (e, forse trattano ancora). Si trattò sicuramente durante “l’operazione Marzano” e poi a Montalto per far fallire il summit di tutte le cosche reggine e affinché restassero senza nome e senza volto gli incappucciati presenti al raduno. Si trattò durante la rivolta di Reggio. Si trattò con Ntoni Macrì, il boss dei boss della provincia di Reggio Calabria. Si trattò durante la drammatica stagione dei sequestri ed ancora dopo.

Ho parlato della Calabria ma tracce evidenti di “Trattativa” sono evidenti nel coprire i responsabili della mattanza di sindacalisti siciliani e di braccianti calabresi durante gli assalti ai latifondi o dei responsabili della strategia della tensione e delle stragi.

Con tali precedenti, perché a Palermo s’è deciso di aprire il processo “Trattativa” pur con prove dubbie? E perché una parte della “grande stampa” ha stabilito di dare un formidabile copertura mediatica fino all’ultimo giorno, al processo?

Ci può essere di tutto dietro una tale scelta. Ci può essere la convinzione genuina e sofferta dei Pm come ci potrebbe essere una loro morbosa ricerca di notorietà, di fama, di carriera. Ci possono essere obiettivi politici e qualche resa dei conti all’interno dell’apparato dello Stato. Ma con la morte non si scherza e c’è qualcosa di inquietante ed esige una risposta in tempi rapidi.

Mi riferisco alle pesanti (e presunte) minacce a Di Matteo ed a suoi colleghi così esposti da ipotizzare l’utilizzo dei mezzi blindati per tutelare la loro sicurezza. Più o meno come a Kabul.

Ora, dal momento che Mori, Di Donno, Subrianni e Dell’Utri sono innocenti (e tali li dobbiamo considerare) risulta arduo pensare che le minacce di morte potessero provenire da ambienti vicino agli imputati. Quindi, bisognerebbe indagare in altre direzioni, senza escludere che vi siano oscuri mondi che confezionano minacce per fini inconfessabili ma facilmente comprensibili e sino al punto da mettere a rischio vite umane, sprecare fiumi di denaro e, soprattutto, inquinare e manomettere la democrazia nel nostro Paese.

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