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Il Consiglio regionale della Calabria

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«LA figura del consigliere supplente? Per me è inopportuna e anche incostituzionale». Lo dice il professor Guerino D’Ignazio, ordinario di Diritto pubblico comparato e diritto regionale, commentando la proposta di legge che lunedì sarà discussa a Palazzo Campanella e che prevede l’incompatibilità tra consigliere e assessore regionale, risolvendola con l’introduzione del consigliere supplente.

Funziona così: se un membro dell’assise consiliare viene nominato assessore regionale, scatta per lui la sospensione dal ruolo di consigliere con l’ingresso (temporaneo) del primo dei non eletti. Qualora dovesse rinunciare all’incarico (o venisse defenestrato dal presidente) l’ex assessore riprenderebbe il suo scranno in aula, “congedando” il suo supplente.

Non si tratta di un’invenzione made in Calabria, va detto. A Palazzo Campanella la figura del consigliere supplente è sì uno spettro che si aggira dal 2014, ma altrove aveva già fatto capolino molto tempo prima. Almeno da inizio Duemila, quando un disegno di legge che introduceva questa figura (insieme all’incompatibilità tra consigliere e assessore regionale) era diventato oggetto di discussione in Piemonte. Tre anni dopo, è il 2004, Umbria ed Emilia Romagna lo inseriscono nei propri rispettivi statuti.

Il Consiglio dei Ministri impugna entrambe le leggi di revisione statutaria e le manda alla Consulta. Il risultato? La Corte Costituzionale dà semaforo verde a molte disposizioni contenute nei due testi, ma boccia gli articoli che introducevano l’incompatibilità della carica di componente della Giunta con quella di consigliere regionale (e quel che ne conseguiva, almeno per l’Umbria, ovvero l’introduzione del ‘supplente’).

A esser eccepita era la violazione dell’articolo 122 comma 1 della Costituzione: disciplinare le incompatibilità e ineleggibilità di presidente, consiglieri e assessori è materia da legge regionale e non da statuto. Ci casca la Calabria nel 2014, che si vede impugnare dal Governo una legge di revisione statutaria simile a quella umbra. La Consulta, però, non fa in tempo a pronunciarsi, perché la Regione – dopo i rilievi del Consiglio dei Ministri – decide di abrogare tutto.

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Il prof. Guerino D’Ignazio

«La proposta di legge oggi in discussione – prosegue D’Ignazio – è al riparo da contestazioni riferite all’articolo 122 della Costituzione. Stavolta si interviene per legge regionale, appunto, non statutaria. Resta però l’ostacolo, chiamiamolo così, dell’articolo 67 della Costituzione: il principio del libero mandato. Il “supplente” sarebbe un consigliere dimezzato, le cui sorti risulterebbero legate a quelle dell’assessore. Rischierebbe di essere compromessa anche la funzione di controllo del Consiglio sull’operato della Giunta».

E D’Ignazio non è il solo a pensarla così. Anche il Consiglio dei Ministri, impugnando nel 2014 la legge di revisione statutaria calabrese, lamentava – oltre alla violazione dell’articolo 122 – pure quella del principio del divieto di mandato imperativo, «in quanto il consigliere supplente è soggetto a revoca da parte del supplito ove questo cessi dalle funzioni di assessore».

Ancor prima, nel 2000, il professor Nicolò Zanon, analizzando il tentativo piemontese di introdurre nell’ordinamento il consigliere supplente, richiamava (anche) l’articolo 67 nelle sue contestazioni. «La rotazione nelle cariche rappresentative è infatti in contrasto con quello che si può definire il principio dell’immediatezza del voto, desumibile dagli articoli 1 e 48 della Costituzione e con il principio del libero mandato, testualmente previsto dall’articolo 67 della Costituzione per i soli parlamentari, ma con disposizione che, per comune consenso, racchiude in termini storici e teorici un principio fondamentale applicabile a tutti i componenti di organi politicamente rappresentativi». Per inciso, Zanon è oggi un giudice della Corte Costituzionale.

Certo, ad altre Regioni il tentativo di introdurre il consigliere supplente è riuscito. Con legge regionale (e non statutaria) lo hanno inserito nel proprio ordinamento (tra 2017 e 2018) Molise, Abruzzo, Lombardia e Veneto: le norme, in questo caso, non sarebbero state impugnate. La Toscana, invece, ha fatto un’altra scelta nel 2014: l’incompatibilità tra consigliere e assessore è stata prevista e risolta con la decadenza dal primo ruolo, al momento dell’ingresso in Giunta, e la sostituzione con il primo dei non eletti.

Un meccanismo analogo a quello previsto per i Comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti. «Una soluzione che condivido – conclude il professor D’Ignazio – e peraltro mi sembra coerente con le motivazioni dei proponenti del testo di legge calabrese: in quel modo si ottiene l’effettiva separazione tra funzione legislativa e di governo».

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