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Don Luigi Ciotti in visita al Quotidiano

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VIBO VALENTIA – È la passione, il fervore, la voglia di raccontare e raccontarsi che animano don Luigi Ciotti. In questa giornata locrese è lì, in prima linea, insieme a tanti altri a manifestare che la legalità è civiltà, e dignità, che la mafia resta una “montagna di merda” e che il cambiamento, quello vero, non sbandierato, pian piano sta avvenendo ma non può realizzarsi e cristallizzarsi se sono solo gli altri a farlo.

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Perché «il cambiamento che noi desideriamo e che sogniamo ha bisogno di ciascuno di noi. Se c’è una malattia terribile nella società questa è l’indifferenza e la rassegnazione, il pensare che tocchi sempre ad altri fare le cose. E poi ci sono sempre più persone che manifestano la propria indignazione. È giusto, ma a queste io risponderei: “Datevi una mossa, allora”, perché dobbiamo protagonisti della nostra vita, che è una sola e che non va sprecata».

Don Ciotti, in questo senso da cosa trae forza la mafia?

«La prima mafia si annida nell’indifferenza, nella superficialità, nel quieto vivere, nel puntare il dito senza fare nulla per poi voltarsi dall’altra parte e magari indignarsi e protestare ma senza far nulla. Perché non è solo chi vive nell’illegalità a fare del male ma anche chi osserva e lascia fare».

Ormai da ben oltre un secolo si continua a parlare di mafia con la stessa intensità. Perché?

«Mi piace ricordare don Luigi Sturzo che una volta disse “La mafia vive in Sicilia ma forse ha la testa a Roma, risalirà sempre più forte verso il Nord valicando le Alpi”. Noi siamo qui oggi, ancora, dopo secoli a parlare di fenomeni di questo tipo perché c’è un motivo. Se il problema fosse stato solo di ordine criminale sarebbe bastato in questi anni il generoso lavoro e il sacrificio delle forze di Polizia, della magistratura, di parte delle istituzioni». Quindi allude ad una o più responsabilità? «Il problema è anche sociale, culturale, etico. Giovanni Falcone diceva sempre che quella alle mafie è una lotta di legalità e civiltà».

Però, mi perdoni, sono termini, frasi, concetti che spesso vengono pronunciati solo per fare “sensazione” con il rischio che perdano valore.

«Dobbiamo dirlo con forza: serve uno scatto di tutta la società sana altrimenti si va ad ingrossare il fiume della retorica che mette a rischio anche la memoria. Senza civiltà la legalità resta soltanto una bella parola ma vuota di contenuti. E civiltà vuol dire lavoro, casa, strade, politica sana, cultura».

E quindi, secondo lei, qualcosa allora è per forza venuto meno se ci ritroviamo qui dopo anni ad affrontare gli stessi argomenti.

«Qualcosa non è stato fatto o è stato fatto in modo insufficiente. Però c’è un’altra prospettiva dalla quale partire: non dobbiamo dimenticare le tante cose positive fatte finora grazie al sacrificio di persone oneste e al dolore di chi si è visto assassinare i propri cari ma, allo stesso tempo, dobbiamo avere lo sguardo lucido, scomodo a volte, di denunciare le cose che non vanno».

Lei ha parlato di sacrificio. Quanto oggi, soprattutto i giovani, conoscono quelle persone che hanno perso la vita per assicurare loro un’esistenza libera?

«Sono tanti, più di quanto si pensi perché hanno compreso che questi martiri non sono morti per vedersi dedicare una targhetta, una via o un monumento che ha senso solo se c’è del sentimento reale, oppure essere inseriti in discorsi “di occasione”. No, non sono morti per questo, sono stati uccisi per la nostra libertà e per la democrazia del nostro Paese. Non dimentichiamolo mai».

Don Ciotti, ricordando Falcone, la mafia, essendo un fenomeno umano, è soggetta a cambiamenti. Ecco, a suo giudizio com’è cambiata in questi anni e quanto è diventata più subdola e pericolosa?

«Mi permetto di dire che la mafia non è un antistato, oggi è strutturalmente legata a questo sistema imprenditoriale e a questo modello di società. Non si può sconfiggerla se non si debellano la criminalità politica e quella economica che rappresentano il suo sostentamento. E attenzione, che quando dico politica non voglio dimenticare tutte quelle persone pulite, corrette, oneste che fanno onore a questo termine come servizio per il bene comune. E lo dico ai giovani: abbiate sempre la capacità di distinguere per non confondere».

Lei la Calabria la conosce bene e conosce bene la sua gente. È a Locri per lanciare un messaggio forte anche agli abitanti di questa martoriata terra.

«A loro dico “Siate orgogliosi di essere calabresi, liberi”».

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