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Il matrimonio a Leinì

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Leinì è un paese della cintura torinese di 15000 abitanti. Dalla pianura si ammira la “Cerchia Alpina” in cui svettano il Monte Rosa e il Monviso. Giorni fa il parroco don Pierantonio Garabiglia ha celebrato un matrimonio sopra le righe, come spesso capita di questi tempi.

Un carro di carnevale, due motrici di camion e mezzo quintale di grano e riso buttato sul sagrato della chiesa all’uscita degli sposi. Don Pierantonio, molto attivo su Facebook, con la testiera è andato giù duro diretto scrivendo: “I matrimoni in chiesa ormai di cristiano hanno ben poco, a cominciare dalle feste al celibato (sia per lei che per lui, sia chiaro, per par condicio!) fino al lasciare la piazza della chiesa dopo i festeggiamenti in uno stato pietoso”. Ma ha anche molto rincarato la dose affermando: “A volte, mi chiedo se Leinì sia vicino a Reggio Calabria o a Courmayeur?”.

Un riflesso incondizionato di razzismo preconcetto. La comunità del prete ammansita a non essere come i calabresi, invece di essere dei civili valdostani-piemontesi. Apriti cielo sul campo dei social tra chi ha contestato il parroco per razzismo manifesto e chi ha dato a lui ragione invocando anche l’intervento dei carabinieri. I parenti degli sposi hanno fatto presente di aver ripulito tutto, qualcuno ha fatto pesare la busta di compenso che la parrocchia ha incassato per il ridondante matrimonio.

Don Pierantonio ha compreso di averla scritta grossa, ha cancellato il post razzista e ha chiarito: “Mi scuso per il post precedente. Non voleva essere discriminatorio e se è stato letto come tale chiedo scusa doppiamente. Tanto più ogni volta che ho un invito a celebrare un matrimonio in giro per l’Italia ci vado di corsa, nei limiti dei miei impegni parrocchiali. Mi fa sempre onore e piacere”. Ma ormai la tempesta perfetta era scattata e la notizia è rimbalzata dai giornali locali a Dagospia diventando molto popolare.

Va aggiunto che a guardare la bacheca di don Pierantonio si scopre un prete progressista e animalista che nella foto profilo si vede accarezzare una volpe e che posta articoli a favore del popolo afghano. Resta quel riflesso incondizionato di un prete “rompi”, come lui stesso si definisce, e che ha considerato Reggio Calabria un posto da buzzurri, anche se poi ha chiesto scusa.

Don Pierantonio Garabiglia

Mi sono chiesto se in questa vicenda pesa il fatto che il comune di Leinì nel 2012 fu sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Un noto imprenditore del paese fu accusato di aver dato soldi della campagna elettorale municipale per il figlio agli esponenti peggiori della comunità calabrese che vivono nel comune piemontese. Nevio Coral, politico piemontese di lungo corso, è stato condannato ad 8 anni insieme a molti ’ndranghetisti calabresi.

Alla fine, nei mali della Calabria, la ‘ndrangheta, questo pianeta dal lato oscuro che mai si vede chiaro, condiziona la nostra pessima reputazione. Anche quando un prete progressista si lancia nel suo “Reggio Calabria vituperio delle genti” per mezzo quintale di riso e grano lanciato su degli sposi che hanno esagerato nei festeggiamenti.

Del resto anche il procuratore generale di Torino nel 2020 commentando le infiltrazioni di ‘ndrangheta in Piemonte aveva detto ad Avvenire: “Attenzione però: Torino non è come Catanzaro, Leinì non è come Platì”. Non se ne è accorto quasi nessuno. Forse perché scritto su un giornale e non su Facebook.

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