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I particolari dell’operazione interforze contro la ‘ndrangheta: dai politici ai cittadini al cospetto del mammasantissima

CATANZARO – Il boss riceveva nel suo ufficio come fosse il capo indiscusso dell’area. Affari, attività delittuose, semplici controversie tra privati, permessi ed autorizzazioni anche solo per svolgere attività normali. Tutto doveva passare da Pantaleone Mancuso, 55 anni, detto “Luni Scarpuni”. Era lui a ricevere ‘ndranghetisti e semplici cittadini al tavolino di un bar di Nicotera Marina.

Un angolo appartato nella saletta del locale destinato agli incontri del mammasantissima, pronto a disporre, autorizzare, decidere, sancire. Un luogo considerato sicuro, dal momento che gli esponenti della potente cosca vibonese effettuavano ripetutamente il controllo per la presenza di microspie, anche attraverso uno scanner che è stato sequestrato oggi nel corso delle perquisizioni.

Ma il boss e i suoi sodali non sapevano che, questa volta, polizia, carabinieri e guardia di finanza avevano attuato una serie di accorgimenti che permettevano di evitare controlli su microspie e telecamere piazzate nel covo del capo. Il particolare è emerso nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro.

A rilevare gli accorgimenti nelle indagini sono stati il procuratore facente funzioni, Giovanni Bombardieri; il capo della squadra Mobile di Catanzaro, Nino De Santis; il capo della Mobile di Vibo Valentia, Tito Emanuele Cicero; il comandante provinciale dei carabinieri di Vibo, il colonnello Daniele Scardecchia; e i vertici della guardia di finanza. «La cosca ha verificato più volte la presenza di ambientali nel bar – ha spiegato Cicero – anche attraverso l’utilizzo di uno scanner, ma non sono mai riusciti a trovare nulla grazie agli accorgimenti che abbiamo attuato». In questo modo, è stato possibile riprendere e registrare il boss Pantaleone Mancuso mentre incontrava semplici cittadini e ‘ndranghetisti.

Molti gli episodi ricostruiti dagli inquirenti nell’inchiesta firmata dai sostituti procuratori Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni. Dall’imprenditore che chiedeva l’autorizzazione al boss anche solo per lavorare a quello che chiedeva di poter buttare materiale di risulta nella discarica comunale, passando per richieste di autorizzazione anche per intraprendere azioni legali tra privati. Intercettati anche cittadini che si rivolgevano a Mancuso per ottenere un intervento sui crediti vantati nei confronti di altre persone. A questo si aggiungevano gli incontri con i rappresentanti delle cosche per gestire delitti, passaggi di armi, estorsioni e ruoli nelle attività di villaggi e attività economiche. Persino il caffè da utilizzare nei bar veniva imposto dalla ‘ndrangheta, pronta a obbligare tutte le attività commerciali a rifornirsi dalla torrefazione ritenuta vicina al clan.

LA POLITICA E LE COSCHE – Rispetto alla posizione dei politici e del presidente della Provincia di Vibo coinvolti nell’operazione “Costa pulita”, il procuratore facente funzione della Repubblica di Catanzaro, Giovanni Bombardieri, ha evidenziato: «La vicenda lambisce ex amministratori locali del Vibonese, Parghelia e Briatico e siamo in fase di approfondimento, per questo i soggetti sono stati destinatari solo di un decreto di perquisizione. C’erano delle aderenze della criminalità organizzata nelle amministrazioni».

Sulla posizione di Niglia, in particolare, Bombardieri ha spiegato: «Anche la sua posizione è oggetto di approfondimento. Per quanto riguarda la sua amministrazione i rapporti si fermerebbero al 2010, quando assistiamo ad un cambiamento di orientamento politico da parte della criminalità organizzata». Tra le fonti di prova al vaglio degli inquirenti, ci sono anche “intercettazioni tra terzi” che avrebbero permesso di ricostruire i contatti tra politici e clan, con alcuni riscontri già effettuati.

AL CLAN I LAVORI POST ALLUVIONE – Anche i lavori per l’alluvione di Parghelia, avvenuta ad ottobre 2010, dovevano essere gestiti dalle cosche legate alla potente consorteria dei Mancuso. E questo nonostante le ripetute segnalazioni della Prefettura di Vibo Valentia, che aveva indicato all’allora Amministrazione comunale che quelle ditte erano coinvolte in vicende giudiziarie di ‘ndrangheta. A raccontare lo spaccato criminale che lega amministratori locali compiacenti a mafiosi, è stato il procuratore facente funzioni della Dda di Catanzaro, Giovanni Bombardieri, insieme ai vertici di polizia, carabinieri e guardia di finanza.

«Sono riusciti ad approfittare anche dei danni provocati dall’alluvione di Parghelia – ha spiegato Nino de Santis, capo della Mobile di Catanzaro – grazie alla complicità di amministratori pubblici che si sono spesi per le aziende riconducibili alla famiglia utilizzando la formula della somma urgenza. E questo nonostante la Prefettura avesse avvisato gli amministratori dell’esistenza di pregiudizi penali».

AFFARI SENZA CONFINE – Nel ricostruire la potenza affaristica delle cosche legate ai Mancuso, soprattutto riconducibile al clan Accorinti, la guardia di finanza ha evidenziato che «le indagini dimostrano che l’economia legata al territorio vibonese è condizionata completamente dalle cosche», capaci anche, ha puntualizzato la polizia, ad entrare «nell’esercizio della giustizia privata» per le controversie tra semplici cittadini. D’altronde, oltre alle estorsioni, i Mancuso controllavano i collegamenti tra la Calabria e le Eolie, con il sequestro di tre società di navigazione, gli affari nei villaggi turistici del comprensorio, ma anche gli interessi economici in alcune cooperative del Nord Italia, a Gorgonzola, importante centro nell’area metropolitana di Milano. In quest’ultimo caso, sarebbe stato Adriano Greco, fermato nel corso dell’operazione di oggi, a riferire della capacità di condizionare queste attività, non tanto per la riscossione di tangenti ed estorsioni, quanto per garantirsi posti di lavoro.

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