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VIBO VALENTIA – In Italia c’è arrivata nel 2000, con un permesso di soggiorno. E da allora è stata sempre in Calabria. Una vita che l’ha portata vicina a Salvatore Pititto considerato uno dei capi dell’organizzazione che trafficava droga con i narcos colombiani e disarticolata lo scorso 24 gennaio dall’inchiesta “Stammer” condotta da Carabinieri e Finanza coordinata dalla Dda di Catanzaro (LEGGI).

In quel sodalizio, c’è finita quasi inevitabilmente, così come tale è stato l’arresto (LEGGI). Però lei, Oksana Verman, ragazza ucraina con un figlio di 20 anni, quelle le sbarre del carcere, quella libertà negata le hanno evidente fatto aprire gli occhi. Ed è così che poco dopo essere finita nella rete tesa dal pm Camillo Falvo, ha deciso di saltare il fosso e collaborare. Una scelta obbligata scaturita dal fatto di essere “stata trascinata in questa situazione senza rendermi conto della gravità che stavo facendo; ho sbagliato e voglio cambiare vita, senza avere più rapporti con le persone con le quali sono stata arrestata”.

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Oksana parla agli investigatori. Riempie sei pagine di verbale il 31 gennaio scorso, ad appena una settimana dal blitz, e tira in ballo un po’ tutti, in particolare quel Salvatore Pititto con cui ha un rapporto più fitto. I due si sono conosciuti il primo giorno che lei ha messo piede in Italia grazie ad un’amica che lavorava nella sua azienda: “E’ venuto a prendermi quando sono scesa dal treno”, racconta. E con lui, in questi 17 anni ha diviso molte cose frutto anche “di una relazione avviata pochi mesi dopo il mio arrivo. Mi disse che sarei stata sua o di nessun altro in Italia. E la moglie e i figli sapevano questa cosa”. A Mileto, Oksana fa la badante agli anziani che però dopo poco tempo morirono e allora Pititto si prese cura di lei aiutandola a trovare un lavoro. Mettendo da parte la vita privata, la neo collaboratrice di giustizia parla del ruolo ricoperto da Salvatore Pititto all’interno del sodalizio: “Era il soggetto che organizzava i traffici di droga con la collaborazione di altri soggetti dei quali mi riferiva i noi, mentre alcuni di loro li ho conosciuti altri invece solo di vista”.

La sua abitazione aveva funto anche da soggiorno per i narcos colombiani che attraversavano l’Atlantico per accordarsi con i vibonesi. Racconta ancora la Verman: “Di questi ci sono stati “El Coronel” che ho ospitato per 15-20 giorni, c’è stato Jhon Peludo con una permanenza di 8-9 mesi. Oltre a loro a cavallo di ferragosto del 2015 è venuto anche “Jota Jota”, si è fermato 2-3 giorni e poi l’hanno portato via”. E sui carichi di cocaina: “Non so essere precisa sulle quantità di droga che si volevano importare, cosa che loro chiamavano “lavoro” e Salvatore diceva sempre che voleva “lavorare” tanto. Lui, quando si riferiva allo stupefacente, chiamava la cocaina “bianca” la marijuana invece “erba” o “frasca”; utilizzava anche il termine “nera” “vengo a vedere le pecore”, oppure “ti porto il formaggio” ecc”.

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