X
<
>

L'arresto di Pantaleone Mancuso, alias "L'ingegnere"

Condividi:
3 minuti per la lettura

VIBO VALENTIA – Sarà necessario un nuovo giudizio d’Appello per Pantaleone Mancuso, alias “L’ingegnere”, ritenuto ai vertici dell’omonimo clan di Limbadi, e per il figlio Giuseppe Salvatore, nell’ambito del processo avente ad oggetto il duplice tentato omicidio, aggravato dalle modalità mafiose, di Romana Mancuso e del figlio Giovanni Rizzo, consanguinei dei due imputati, avvenuto a maggio del 2008 nelle campagne di Limbadi a colpi di pistola.

La prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha infatti annullato con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva inflitto una condanna a 8 anni per il giovane mentre il genitore aveva incassato un verdetto assolutorio. Ad assistere i due imputati gli avvocati Francesco Capria, Mario Santambrogio, Francesco Sabatino e Valerio Spigarelli.

Il sostituto procuratore generale aveva chiesto l’accoglimento del ricorso per il padre (per com’è avvenuto) e il rigetto per il figlio (per come chiesto invece dalle difese). Del duplice tentato omicidio ne ha parlato ultimamente il nuovo pentito Pasquale Megna che afferma di aver appreso le circostanze sia dagli imputati che dalle vittime: «Ho saputo che a sparare a Giovanni Rizzo e a sua madre che chiamavamo “zia Romana” sono stati Peppe e suo padre Pantaleone “l’ingegnere” – ha fatto mettere a verbale – perché me ne hanno parlato più volte entrambi, ma in momenti separati. Peppe mi parlava di un danneggiamento fatto da Rizzo, dicendomi: “Chissu ca ancora non si ’mparau a lezione, i corna nata vota vola rutti”, aggiungendomi che era stato lui a sparargli e che l’unico problema che c’era stato era quello del talloncino assicurativo che gli era caduto dalla panda e che avrebbe potuto portargli qualche problema.

Aggiunse che c’era la zia Romana dentro furgone e che quando avevano sparato neanche l’avevano vista, altrimenti non l’avrebbero fatto e che quando hanno iniziato a sparare le persone presenti se ne sono volate via e che solo Leo “Limps”, cioè Pantaleone Rizzo, rimase sul posto ed ha anche risposto al fuoco. Poi Giovanni mi ha detto che è stato il fratello ad accompagnarli in ospedale».

La causale risiederebbe anche nel fatto che «qualche giorno prima di questa sparatoria Giuseppe Raguseo e Giovanni “Mezzodente” (Rizzo, ndr) erano andati a sparare a casa di Luni l’ingegnere. In particolare, sia Peppe Mancuso che il padre, mi dissero che i due erano andati dalla stradina che porta all’ingresso posteriore della casa (dove c’è una casa vecchia e tengono anche maiali e galline) e avevano sparato ad un trattore e a qualche finestra della casa».

Per quanto riguarda, invece “l’ingegnere”, anche lui «mi disse di avere avuto il problema – aveva aggiunto Megna – e che lui aveva sparato a Giovanni, ma non ricordo quale fu il discorso per arrivare a questo argomento. Inoltre non mi ha mai fatto il nome di suo figlio Peppe, mentre quest’ultimo mi si vantava di essere andato a sparare con il padre».

Ma ad indicare i due imputati al collaboratore sarebbe stato lo stesso Rizzo, che gli riferì anche le fasi del ferimento: «Mi fece i nomi di Pantaleone l’ingegnere e del figlio Peppe e mi disse che “queste persone hanno sempre fatto danni, tuo fratello si è rovinato (era fidanzato con la figlia di Pantaleone Mancuso, ndr) perché queste cose nella mia famiglia non si sono mai viste, tra di noi queste cose non si sono mai fatte”».

Adesso per i due Mancuso, rispettivamente padre e fratello del collaboratore di giustizia, Emanuele, che fino a poco tempo fa aveva offerto una vista privilegiata sul clan, essendone intraneo, si aprirà un nuovo giudizio d’Appello, a Catanzaro per stabilirne le responsabilità.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE