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Sergio Rizzo mentre presenta la candidatura

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VIBO VALENTIA – La candidatura l’ha presentata 24 ore dopo le indicazioni dei vertici sui nomi per le segreterie provinciali e regionali ma, avrà modo di specificare, non è una decisione finalizzata a spaccare il partito ma che va nel solco della partecipazione democratica.

Si definisce un “uomo di partito” ma con una propria indipendenza di pensiero che l’ha condotta a correre per la carica di segretario di federazione. Sergio Rizzo, ex sindaco di Maierato, e figura di lungo corso del Pd vibonese, contenderà quindi il posto a Giovanni Di Bartolo, la persona scelta dai maggiorenti democrat per condurre l’organismo provinciale, al congresso del prossimo febbraio. Potrà contare sull’appoggio di Francesco Colelli (che a sua volta si è presentato contro Claudia Gioia per il circolo cittadino) e dei giovani del circolo a lui vicini, sul sindaco di Gerocarne, Vitaliano Papillo – che sul nome di Di Bartolo ha rotto l’asse con Luciano e i Mirabello – ed altre figure.

Allora, ingegnere Rizzo, era inevitabile la sua candidatura?

«Ritengo che quanto avvenuto in sede di individuazione dei candidati non potesse restare senza conseguenze, altrimenti non si spiegherebbero non solo la mia decisione ma anche quella di Colelli».

Ma così non trova che quell’unità che si era più volte invocata venga inevitabilmente meno?

«Se ci fosse stata una discussione vera e preventiva sui nomi e sui metodi di scelta certamente non si sarebbe arrivati a questo epilogo. Voglio tuttavia precisare che la mia non è una candidatura contro qualcuno o il partito, ma essendo in un soggetto che si definisce, anche nel nome, democratico, ognuno è giusto che porti avanti le proprie idee. Se poi dall’altro lato ritengono che sia una decisione che va contro qualcuno è un loro pensiero, rispettabile, ma sbagliato».

In pratica, sta dicendo che le scelte vi sono state calate dall’alto. Ma non era proprio possibile fare altrimenti?

«Ciò che mi ha dato fastidio è stato l’averci messo di fronte al fatto compiuto, senza che vi sia stata alcun confronto con la base che non necessariamente avrebbe dovuto essere convergente sul mio nome, ma è il metodo che contesto con forza e che mi ha indotto a capire che non c’erano più margini per continuare ogni discorso. Mi sono candidato per dare voce a tutti quei tesserati liberi che non si rivedono nelle imposizioni di nomi calati dall’alto. Evidentemente se alla fine viene fuori una proposta alternativa che è quella del sottoscritto, oltre quella di Colelli, vuol dire che non c’è stato confronto e quindi qualcosa non ha funzionato».

Il suo nome però era uscito nelle ultime fasi tra i papabili aspiranti alla segreteria provinciale, proposto dall’asse Luciano-Papillo-Mirabello. Poi cosa è successo?

«Che il mio nome fosse stato avanzato al tavolo delle trattative mi è stato riferito ma io non ho contezza diretta della cosa, anche se poi mi è stato riferito che non è stato condiviso. Io sono sempre stato un uomo di partito, che ha fatto un percorso lineare all’interno dello stesso, ricoprendo anche ruoli importanti come il presidente della commissione garanzia ad esempio cercando di mettermi al servizio del partito e dei vertici che lo rappresentavano».

Si sente forse un po’ di amarezza nelle sue parole per essere stato scartato.

«No, nessuna amarezza. Io sono stato sempre abituato a fare ragionamenti politici e non scadere nelle questioni personali; certo posso proporre la mia figura che può essere condivisa o meno ma questo fa parte della democrazia all’interno di un partito politico, democrazia che si raggiunge col confronto, con la discussione anche accesa».

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