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STIAMO per entrare nella tempesta. Tutti hanno dato per certo il passaggio violento di Omicron tra fine gennaio e metà febbraio. I contagi aumentano a dismisura ma, per fortuna, la variante sembra essere molto più leggera di Delta e i casi, seppur maggiori, provocano meno malati gravi.

È evidente che, in questa situazione, molte industrie soffrono, e il cinema in sala è una di queste. Gli incassi sono ai minimi storici tanto che molti titoli hanno spostato la loro uscita da marzo in poi. Altri, la maggior parte, continuano ad uscire, visto che – come è stato certificato più volte – il cinema è un luogo sicuro e protetto: tra sanificazioni, Super Greeen Pass, ampio distanziamento per via dei numerosi posti a sedere disponibili e obbligo di mascherina Ffp2, il grande schermo è ormai un nosocomio dove proiettano film.

Nel corso di questi due anni c’è stato un andamento a fisarmonica sulle chiusure, timide riaperture, aperture senza successo (vedi l’estate), nuove chiusure e nuove riaperture. In questi due anni il settore si è abituato ad affrontare l’emergenza, facendo scelte. Scegliere significa prendersi una responsabilità dopo aver magari passato notti insonne a capire. E anche oggi, di fronte ad uno scenario già visto, industrialmente molto complicato, i manager della distribuzione cinematografica stanno facendo le loro scelte: chi decide di spostare un titolo posizionandolo in un momento migliore, chi imperterrito preferisce continuare, passando con coraggio dentro la tempesta per dare un segnale forte. In entrambi i casi scelte da rispettare.

E poi ci sono gli esercenti che – negli anni – si sono guadagnati, loro malgrado, l’appellativo di “anello debole della filiera”. Anche a loro va la nostra solidarietà ovviamente. Hanno bisogno di sostegni, non c’è dubbio. Senza DPCM a riguardo però non possono chiudere, non avrebbero cassa integrazione e altri ristori. Sono settimane critiche.

Le associazioni di categoria e il ministro Dario Franceschini dovranno decidere cosa fare. 


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